23 mag 2017

Corno d’Angolo: chi l'avrà salito per primo, e perché?

Chi avrà salito per primo il  Corno d’Angolo, e perché? 
Già noto ai pionieri con il nome tedesco di Eckhorn, dovuto alla sua posizione alla testata dell'alta Val Popena, è il pilastro alla base del Piz Popena che domina snello la Strada 48 delle Dolomiti, all’altezza dell'alveo del Rudavoi. Da nord, la salita si presenta abbastanza agevole; raggiunta la sella con i ruderi del Rifugio Popena, per un ampio catino di pascolo, ghiaie e blocchi ci si porta ad una forcella della cresta e - per cenge e paretine detritiche - si continua fin sulla sottile e un po' malferma sommità, a quota 2430 metri. 
Fino all'estate del 1933 il Corno non fu corteggiato da rocciatori poiché, pur essendo anche slanciate, le sue pareti non hanno un aspetto molto rassicurante. Il primo a trovare la fantasia e il coraggio per esplorarle fu Emilio Comici. 
Due settimane dopo avere salito lo "Spigolo Giallo" della Cima Piccola di Lavaredo, il triestino superò infatti con Sandro Del Torso anche lo spigolo sud del Corno, incontrando un tratto di VI, “pericoloso, perché difficilmente i chiodi tengono”: ottimo, come biglietto da visita! Risulta che lo spigolo abbia avuto comunque qualche ripetizione, fra cui quella di alcuni Scoiattoli di Cortina una decina d'anni dopo la prima salita.
Il Corno, salendo da Misurina
(foto L. Beltrame, aprile 2008)
Nel 1955 due austriaci tornarono in vetta da sud-ovest, senza dare notizia del loro percorso; nel 2009, infine, due triestini hanno aperto un'altra via parallela allo spigolo, denominata "Veci muloni". Le vie più recenti saranno magari migliori della Comici, ma non penso che - oggi come oggi - siano in tanti ad avere stimoli per cercarle.
Dicevamo: chi avrà salito per primo il Corno d’Angolo, e per quale motivo? Cacciatori, quasi certamente; tra loro l'irruento pusterese Michl Innerkofler, che fino alla scomparsa sul Cristallo nel 1888 bazzicò spesso nel gruppo, e nel luglio 1884 salì la vicina Croda de Pousa Marza e una delle due Torri di Popena. Per lo spigolo del Corno mancavano ancora cinquant'anni di tecnica e attrezzatura, ma da nord sulla cima Michl salì quasi certamente, magari sulle orme di qualche camoscio ferito e tenendo la salita per sé! 
Il breve accesso all'Eckhorn, intuitivo, segnalato con qualche ometto e un po' delicato per la friabilità, viene talvolta percorso anche d'inverno. Descritto per la prima volta solo nel 2012, nella guida di Majoni - Caldini - Ciri "111 cime a Cortina e dintorni", è una delle “carenze” nella cronologia della scoperta e conquista delle Dolomiti alle quali mancherebbe una conferma.

16 mag 2017

Ra Zesta, la Cesta, La Cedel: tre nomi, una montagna

Massiccia appendice della ramificazione che il gruppo dolomitico del Sorapìs estende verso la valle d'Ampezzo, inferiore di 80 metri alla vicina e più nota Punta Nera, Ra Zesta o la Cesta (per gli antichi anche "La Cedel", con un'evidente assonanza con l'omonimo villaggio di Cortina e il ceppo familiare Lacedelli), non rientra di sicuro tra le mete più ricercate delle Dolomiti.
Eppure, nel 1898 compariva nell'elenco delle gite offerte dalle guide ampezzane; per salire in vetta si stimavano necessarie dodici ore da Cortina (incluso l'avvicinamento alla Pfalzgauhütte, eretta presso il lago del Sorapis dalla Sektion Pfalzgau del Club Alpino Tedesco-Austriaco e inaugurata l'8 agosto 1891), e il costo della gita era stabilito in una corona l'ora.
Nonostante il basso fascino alpinistico della cima, che si interpone tra i Tondi di Sorapìs e la Monte di Faloria dominando quest'ultima con una singolare parete "a canne d'organo", e sebbene le sue rocce non inducano in tentazione, anche la Zesta ha un suo perché.
La Zesta da sud, con il lago del Sorapis (foto M. Isotton)
Giungere in vetta, infatti, si rivela un'avventura stimolante e non scontata: il culmine offre un ampio colpo d'occhio, prima di tutto sulle dirimpettaie vette del Sorapìs, e l'ambiente è permeato da un grande senso della Montagna.
Salita da ignoti - forse cartografi - per la cresta nord da Forcella del Ciadin, prima dell'apertura della capanna Pfalzgau, il 6.8.1929 la Zesta fu visitata da due alpinisti illustri, Antonio Berti e Severino Casara, che con due compagni aprirono una via (per la verità abbastanza bruttina) sulla parete sud-est che guarda il lago. Ricordando un mastodontico cesto rovesciato, proprio quel profilo ha conferito alla cima l'oronimo col quale la conosciamo.
La storia della Zesta, anche se compressa in poche battute, in ogni caso non è anonima. Dopo una via aperta in solitaria dall'austriaco Peterka nel luglio 1930, il 7.2.1942 Giorgio Brunner, Massimina Cernuschi e Mauro Botteri di Trieste toccarono per primi la cima d'inverno. Già nell'edizione del 1950 la guida "Dolomiti Orientali" di Antonio Berti, però, riportava la notizia in termini imprecisi, così come non è esatto il disegno della cima, in cui la via normale è scambiata con la Berti-Casara.
Intorno al 1991, fu posto sulla Zesta il primo libro di vetta, oggi ancora in loco; considerata la media delle salite annuali, è da ritenere che per completarlo occorreranno di sicuro diversi anni. 
L'ultimo capitolo della storia è datato 5.1.1995: quel giorno la guida Ario Sciolari giunse in cima da solo, compiendo verosimilmente la prima invernale solitaria. La notizia, ricavata dal libro di vetta, ha concluso per il momento le vicende di una montagna intrigante ma poco considerata.
Secondo chi scrive, salito per la normale quattro volte di cui una da solo, e sceso in due occasioni per la via Berti, anche se non è un "tempio del 6° grado", la Zesta possiede senza dubbio i requisiti per non essere relegata nell'oblio.

9 mag 2017

I Śuoghe o ra Ciadénes, un luogo metafisico

Per le poche persone che lo conoscono e lo frequentano, quel luogo metafisico in cui lo spazio e il tempo sembrano confondersi si chiama “I Śuoghe”. Nella toponomastica locale, invece, il nome esatto del maggiore rilievo del crinale roccioso e boscoso che dal Busc de r’Ancona scende verso est, esaurendosi ai piedi della Val di Gotres, è "ra Ciadénes".
Durante la Grande Guerra attraverso quel crinale, che fino ad allora era battuto soltanto da qualche cacciatore, gli schieramenti di entrambi gli eserciti dovettero passare, per attaccare e per difendere il caposaldo di Son Pòuses; lassù poi naufragarono pesantemente i tentativi di assalto sferrati dall’Esercito Italiano fin dal giugno del 1915.
Sul tetto della casamatta superiore,
in un bellissimo novembre (foto E.M.)
Il risalto superiore, quotato 2053 metri, fitto di vegetazione e identificato da un segnale trigonometrico, e quello circa cinquanta metri più basso - su terreno aperto e caratterizzato da due piccole casematte - dove il labile sentiero che sale da Ospitale (segnalato e numerato, ma poi dismesso per problemi di manutenzione) si unisce a quello che proviene dall'alta Val di Gotres, offrono uno scenario malinconico, in cui i ruderi bellici dividono gli spazi con la fauna selvatica, in un silenzio che spacca.
Dimenticato dalla gente, dai libri e dalle carte, il luogo può servire per un buon allenamento: all'inizio della stagione per saggiare i garretti e prepararsi ad altri impegni, alla fine per sfidare l'inverno, che lassù pare arrivi più tardi del solito.
Del resto, il costone boscoso solcato da varie tracce che dai 1474 m di Ospitale sale fino al culmine, è ben esposto al sole, tanto che è capitato di trovarvi terreno asciutto anche nei mesi peggiori.
Da tempo non onoriamo più l'abituale rendez-vous che avevamo instaurato con i Śuoghe, e si allontana il ricordo dell'ultima traversata da Ospitale a Gotres, in una dolce domenica di fine novembre, vissuta intensamente fino agli ultimi minuti di cammino.
Ci resta comunque sempre il desiderio di non sapere di ipotetiche manomissioni di “valorizzatori turistici", che in futuro potessero coinvolgere anche quella zona e spezzare la struggente suggestione di un angolo dolomitico per noi unico. 
Sono salito decine di volte su quei risalti, tanto strategici in guerra quanto abbandonati in pace, e ho sempre mantenuto lo stesso gioioso stupore del ragazzo che li vide per la prima volta coi genitori quasi mezzo secolo fa, lasciando la firma su una feritoia della casamatta superiore. 
Era il 1° maggio 1972, il giorno che accese la scintilla del mio affetto per i Śuoghe, o ra Ciadénes.

2 mag 2017

Passeggiando fuori porta: il Sas del Rana

Osservando da sud, alla base delle ghiaie sotto la Croda dei Zestelis e la Punta Erbing del Pomagagnon emerge un risalto di rocce miste a conifere, con dirupi grigi e giallastri.
Quel risalto ha un nome curioso, Sas del Rana. Secondo "Monti boschi e pascoli ampezzani nei nomi originali" di Illuminato De Zanna e Camillo Berti (1983), più che uno zootoponimo (che indurrebbe a pensare alla presenza di anfibi, in una zona ben poco umida), potrebbe essere un antroponimo, legato ad un antico abitante del sottostante borgo di Chiave, magro e scattante come l’animale da cui prese il soprannome. Come il Sas sia stato connesso alla persona, poi, andrebbe chiarito: con buona certezza il legame sarà dovuto a motivi agrosilvopastorali.
L'"Atlante del territorio silvo pastorale delle Regole e del Comune di Cortina d'Ampezzo" di Fiorenzo Filippi (1985), riporta l'oronimo del Sas del Rana aggiungendovi anche la quota altimetrica, misurata in 1826 m. 
Oltre a "Gli zootoponimi nella toponomastica cadorina" di Maria Teresa Vigolo, in "La radises desmenteades. Le radici dimenticate. Temi e problemi della toponomastica dell'Oltrechiusa" (atti del convegno di San Vito di Cadore del 22.10.2016, usciti nell'aprile 2017, pp. 40-41), non ho altre fonti che citino il risalto. 
In basso a destra, spuntano i dirupi
del Sas del Rana (foto I.D.F.)
La base del Sas è lambita dalla strada forestale che collega Fiames al Brite de Larieto; pur agevolata da questa facilitazione, l'esperienza personale mi fa concludere che una visita al risalto - ammesso che si abbia un motivo per farla - non sembra granché interessante.
Nemmeno gli strapiombi verso Cortina, ad un'occhiata sommaria, paiono invitare a un'eventuale ricognizione: l'attrattiva del sito va cercata quindi soprattutto nella storia, e potrebbe alimentare qualche indagine anche in altri ambiti.
Un tempo non sapevo che il risalto avesse un'identità e un nome. Lo seppi a metà degli anni Settanta dalla guida Angelo Dimai, classe 1900 e vissuto per anni a Chiave; era anziano ma ancora in gamba, e probabilmente fin da ragazzo aveva conosciuto quei dirupi, per piacere personale o - più ragionevolmente - per dovere. 
L’informazione di Angelo "Déo" evoca una bella figura dell'alpinismo dolomitico, da cui ottenni anche qualche altra notizia interessante. Quando la Cooperativa fece uscire il saggio di De Zanna e Berti, ricordo che potei sottolineare con soddisfazione: “La storia del Sas del Rana non mi è nuova”.

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...