26 lug 2015

Pala Perosego, cima sconosciuta, sottile ed aerea

Una volta compravo molti libri di montagna. Un giorno di novembre di una ventina d'anni fa trovai quello che conservo con riguardo, perché è una piacevole lettura e una preziosa fonte di informazioni e suggerimenti: “Gruppo del Cristallo” di Luca Visentini, edito da Athesia. 
Grazie a quella lettura, scoprii che la Pala Perosego, cima dolomitica quasi sconosciuta anche se - oltre alla breve via normale - ne ospita altre quattro di difficoltà fino al 6°+ (due sono opera degli Scoiattoli di Cortina), si poteva salire abbastanza facilmente.
Il rilievo, con l'accorpato e misterioso Campanile omonimo, sporge di poco dalla cresta delle Pale di Zumeles, che dalla sella di Sonforcia avvia la dorsale del Pomagagnon, ma soltanto verso Cortina mostra una certa autonomia di linee. 
Alla fine di settembre del 2000, partii da solo con meta la Pala, che leggendo la relazione mi pareva adatta a una gita solitaria. Messi i piedi (o meglio, le ginocchia) sulla sottile ed esposta cresta terminale, sotto l'ometto lasciai una scatola di plastica e un quaderno per le eventuali firme di altri salitori, e verso la metà di giugno dell'anno seguente tornai su a darvi un'occhiata.
Prima della pioggia, sulla cresta terminale 
(foto Ernesto Majoni, 22 maggio 2005)
Qualche tempo dopo, un amico agordino mi informò che un fulmine doveva aver distrutto la scatola e uno spostamento d'aria aveva scaraventato il quaderno giù dalla cima. 
Così, il 22 maggio 2005 risalii lassù con Iside, portandomi appresso una scatola più robusta e un altro quaderno; su quest'ultimo, alla nostra quarta visita del 20 maggio 2007, scoprii con piacere un certo numero di firme. 
Passò altro tempo; mi venne detto che anche la seconda scatola e il quaderno che conteneva erano spariti, forse distrutti dal maltempo o da qualche simpatico "amico" della montagna. Se così è stato, spero per opera naturale e non umana, mi auguro che qualcuno si sia preso la briga di riportare su quella cima sconosciuta, sottile ed aerea un piccolo "diario di bordo".
Sulla Pala non sono più tornato, ma ho saputo che il 28 agosto 2010 vi salì anche l'amico Luca Beltrame, caduto sulle Alpi Giulie due anni fa, il giorno del suo 43° compleanno. Chissà se Luca ha potuto lasciare in vetta la firma come segno del suo amore per la Montagna?*
La Pala Perosego non ha significato per i collezionisti di grandi Dolomiti ma lo può avere per chi sfugge alle folle incolonnate e non si fa fermare dall'assenza di tabelle, funi metalliche e bolli di vernice. 
Lassù, a un'ora di distanza dagli impianti e rifugi del Cristallo, c'è solo un grande silenzio.

*Se per caso qualcuno dei miei lettori è salito dopo il 2010 ed ha trovato in vetta un nuovo libretto e la firma di Luca Beltrame, mi piacerebbe saperlo.

24 lug 2015

Gli ultimi veri “tesori” d’Ampezzo.

Una via che non ho mai salito, e mi sarebbe piaciuta? 
Solo per stare a Cortina, ce ne sono diverse; non ne ho mai stilato un elenco, che oggi sarebbe inutile, dato che quell'alpinismo resta tra i ricordi di tanti anni fa. 
Una montagna che non ho mai raggiunto, e mi sarebbe piaciuta? Anche in questo caso ce ne sono diverse; una in particolare, fra quelle più vicine, su cui non ho mai avuto occasione o voglia di mettere il naso, è il Colfiedo, nel gruppo della Croda Rossa. 
Quotata 2804 m, è la sommità che spunta subito a sud della Forcella Colfreddo, alto valico battuto più d'inverno che d'estate, che la separa dalla cima principale della Croda Rossa. 
Colfiedo, Forcella Colfreddo e Croda Rossa,
dalla Valfonda (foto E.M., ottobre 2011
)
Dalla forcella originano due robuste diramazioni: una a O, che va a rinchiudere il vasto Graon de inpó Castel, che scende fin quasi alle porte dell'alpeggio di Lerosa. L’altra, detta Ra Sciares, si abbassa come una grande scalinata verso la Val de Gotres e la sella di Cimabanche. 
Questo benedetto Colfiedo, dove lo scomparso amico Claudio Cima, conoscitore e cultore di tanti misteri dolomitici, ipotizzava fosse ancora possibile la ricerca di qualcosa di nuovo e mi pare che oggi abbia persino il libretto di vetta, sovrasta di soli 83 m la Forcella omonima, dalla quale si raggiunge.
Non è certo il colle barancioso posto in vicinanza dell’intricata Costa del Pin, 500 m circa più in alto di Cimabanche e quindi sui 2000 m di quota. Su quest’ultimo colle, un appassionato mi raccontava di essere salito, faticosamente e avventurosamente, qualche tempo fa con un amico, scoprendo un angolo fra i meno contaminati del nostro territorio. 
Entrambe queste elevazioni, il Colfiedo e l'altro colle, restano senza dubbio due degli ultimi veri “tesori” d’Ampezzo. Non costruiamoci sentieri segnalati, vie attrezzate o quant'altro.

21 lug 2015

Lo spigolo del Col dei Bos, una bella salita

La presenza nello stimolante archivio storico del Cai Cortina di un libretto, collocato lungo la via Alverà-Menardi sullo spigolo SE del Col dei Bòs (che qualche fonte denomina ancora oggi, impropriamente, Cima Bois) e rovinato anzitempo dalle intemperie, mi ha fatto retrocedere di qualche decennio, alle mie esperienze dell'itinerario in oggetto. 
Superai la via (300  m, 5° grado, ore 6, secondo la relazione della guida Berti 1971, che ai miei tempi si usava ancora con profitto) per tre volte, annotandone sempre date e compagni: maggio '79, con Enrico; agosto '80, con Stefano e Marco; giugno '87, con Mauro. Oggi, nonostante la presenza di qualche protezione in più e l’affermazione di qualcuno che ormai lo spigolo sarebbe "una via facile”, noto che una guida di scalate scelte classifica la strapiombante fessura a metà via, dove era facile vedere i sorci verdi, come un robusto 5° grado sup. 
Via Alverà-Menardi, 1a cordata
(foto: www.summitpost.org)
Salito per la prima volta dagli Scoiattoli Silvio Alverà “Boricio” (1921-86) e Luigi Menardi “Igi” (1925-79) il 13 luglio 1947, lo spigolo del Col dei Bòs è sempre stato amato e frequentato, non solo dai locali. Di esso, a onor del vero, va rilevata una certa discontinuità nelle cordate, in cui si alternano tratti di difficoltà classica ad altri abbastanza ostici. 
Oltre alla roccia buona e alla favorevole esposizione, che permette di salire anche nelle mezze stagioni, la via è degna di nota per il breve accesso (mezz'oretta dalla SR48 delle Dolomiti), Notevole è anche l’uscita in vetta, non aguzza dolomite ma morbida sommità prativa, che invita a stendersi per godere la “conquista”. 
Il libretto dice che i salitori della via sono perlopiù veneti, tedeschi ed est-europei, e qualche ascensione è ancora appannaggio delle guide di Cortina. La cosa fa piacere; è auspicabile che lo spigolo del Col dei Bòs che, quando nascevo (1958) all'ipotetico cliente di una guida costava 14.000 lire e non è ancora diventato una salita "plaisir", interessi sempre ad alpinisti da ogni dove, magari più dotati del sottoscritto.
Nelle mie salite, mi pare di avere amaramente capito che i più angusti passaggi dello spigolo non erano proprio adatti a me.

18 lug 2015

Chi salirà ancora il "Camino Pompanin"?

In base all'anagrafe, la guida ampezzana che ad oggi è giunta all'età più avanzata è stato Zaccaria Pompanin detto "Śacar de Radeschi", nato nel villaggio di Zuel nel 1861 e scomparso il 22 marzo 1955, sulla soglia del 94° compleanno. 
Pompanin fu uno dei più ricercati e attivi esploratori, nel momento aureo dell’andar per monti in Dolomiti: promosso guida trentenne, rimase in esercizio senza interruzioni per ben sette lustri, ritirandosi nel 1926. 
1913: Pompanin è il II da sinistra
in terza fila dall'alto (foto tratta  da Fini-Gandini,
Le guide di Cortina d'Ampezzo, 1983)
Pare che la longevità sia stata quasi un "vizio di famiglia", poiché tre dei numerosi figli della guida oltrepassarono i novant'anni: Maria, si spense a 96; Oliva toccò i 95; Zita è morta a centotré. 
L’impresa più nota del "Radeschi", che tra il 1892 e il 1912 (anno in cui lo troviamo impegnato in una campagna alpinistica sulle Alpi Apuane) ebbe all'attivo una quindicina di prime salite, alcune delle quali di indubbio valore, fu certamente quella sulla parete N della Croda da Lago. 
L'itinerario, aperto il 28 agosto 1895 con il musicista e alpinista torinese Leone Sinigaglia e Angelo Zangiacomi "Picenin Śacheo" come seconda guida, offriva ai salitori il "Camino Pompanin".
Lungo settanta metri, il camino richiedeva una tecnica raffinata per essere superato, e fu abbastanza "à la page" nel periodo antecedente la Grande Guerra quando, ad una guida, fruttava il buon guadagno di sessanta Corone. 
E' probabile che oggi non si sappia neppure dove sta di casa il camino del "Radeschi", che dagli ultimi anni del XIX secolo portò turisti da tutta Europa sulla Croda da Lago e nel rifugio che Giovanni Barbaria "Zuchin" aveva costruito sulle rive del placido lago di Federa. 
Delle vie del “Śacar”, che pare salisse nei camini "lesto come un gatto", poche riceveranno ancora qualche visita nel corso delle stagioni: è l'amaro destino dell’alpinismo antico, che ai nostri giorni richiede troppa fatica, sacrificio e rischio per poter essere ancora gustato.

13 lug 2015

40 anni fa, la mia prima via sulle Dolomiti

Quest'estate Cortina ricorderà due centocinquantesimi anniversari, legati alla montagna: le prime salite, entrambe dovute a Paul Grohmann con guide locali, della Tofana III e del Monte Cristallo. Qui invece rievoco altri due anniversari più modesti e, più che alla storia paesana, appartenenti alla mia vicenda personale.
Il primo. Sono passati quarant'anni da quando, studente di prima liceo classico, posi per la prima volta mani e piedi su una parete di roccia vera, di quelle in cui per avventurarsi non basta soltanto l’entusiasmo.
Era il 14 luglio 1975. Dopo varie prove, con gli amici non vedevamo l’ora di "buttarci" e salire. Dove? Ma sul Becco di Mezzodì! Per chi ne mastica un po’, tecnicamente la via normale non è gran cosa, è breve e adatta agli alpinisti esordienti: ma il Becco non è comunque un masso da boulder!
Saliti in bicicletta al ponte di Rocurto, coprimmo a tempo di record la distanza che lo separa da Forcella Ambrizzola e dalla base delle rocce. Scalammo veloci la normale, con l'antiquata relazione del Berti in mente; in vetta firmammo entusiasti su un sacchetto del pane trovato sotto l'ometto  e ci apprestammo a scendere. 
La corda nuova, regalataci da un conoscente, rimase in uno zaino, perché non sapevamo esattamente come usarla: pensando alle acrobazie lungo quei camini, soprattutto in discesa, fu straordinario cavarsela senza problemi!
Il secondo. Trent'anni dopo decisi di risalire su quel torrione fra Ampezzo e Cadore che segna da sempre il mezzogiorno, sul quale mi spellai per la prima volta le dita e dove iniziai ad amare l'alpinismo.
Settembre 2014, il Becco 
alle 7.13 del mattino (foto I.D.F.)
Era il 14 luglio 2005. Con sei lustri e qualche chilo in più addosso, in compagnia di due amici con cui avevo diviso tante avventure giovanili, eccomi di nuovo sotto il Becco, di fronte al Pelmo. Strusciai le ginocchia nei camini saliti da Santo Siorpaes già nel 1872 con scarpe "da broces" e senza chiodi, rifeci la sottile, friabile e panoramica cresta terminale, e in vetta mi commossi ad ammirare Cortina stesa 1400 metri sotto i nostri piedi.
Dopo tre decenni, sul Becco di Mezzodì - la prima croda dove arrampicai, dove poi salii diverse altre volte e della quale conservo un vivo ricordo - provai un’emozione enorme e difficile da descrivere. 
Ringrazio i compagni con i quali ho condiviso la prima e l'ultima avventura sulle rocce del Becco, che mi restano impresse vividamente negli occhi e nel cuore.

11 lug 2015

Un ampezzano poco noto: Fausto Dibona, guida alpina

Classe 1913, Fausto era il secondo dei sette figli della celebre guida Angelo Dibona "Pilato”. Per “dovere di famiglia”, come il padre e i fratelli Ignazio e Dino, si avvicinò anch'egli alla montagna, molto giovane: era il 3 settembre 1927, quando papà Angelo legò a sé per la prima volta Fausto, quattordicenne, e Ignazio, non ancora sedicenne, sulla classica Via Dimai-Verzi, la "paré" della Punta Fiames, banco di prova per generazioni di ampezzani. 
Nel 1937 Fausto ottenne dal Cai il permesso di svolgere la professione di guida, che portò avanti per una quindicina d'anni: già nel 1953, infatti, il suo nome manca nella lista delle guide pubblicata da F. Terschak nella sua "Guida di Cortina". 
Fausto partecipò a una sola via nuova, la "Diretta Dibona" sulla parete sud-est della Testa del Bartoldo (Pomagagnon), salita con il fratello Ignazio e la cliente Hermione Blandy il 21 settembre 1937.
La parte sommitale della parete SE
della Testa del Bartoldo (foto E.M., 2008)

Sposato con Maria Bachmann di Dobbiaco, ebbe due figli: Alfredo “Fredi” (1936-2011), pluri premiato campione di sci nordico, direttore della scuola di fondo a Fiames e, per trent'anni, gestore del Bar-ristorante Ospitale, dove passa la pista della Dobbiaco-Cortina, e Ivano. 
Scoiattolo e guida alpina, autore di tante difficili scalate sulle Dolomiti, Ivano morì nell'estate 1968 sulla Cima Grande di Lavaredo, mentre con il cliente Antonio Muratori di Genova saliva lo Spigolo Dibona, aperto dal nonno nel 1909. 
Fausto, che nella stagione 1946-1947 aveva condotto con la moglie il Rifugio Biella sotto la Croda del Béco, morì il 7 dicembre 1961; lo ricorda la seconda delle due grandi lapidi di marmo bianco che nel cimitero di Cortina onorano le guide e i portatori fin dal 1880.

9 lug 2015

Sulla montagna più bassa d'Italia

Durante le vacanze estive del 2009, siamo convinti di aver toccato la cima montuosa meno elevata d'Italia. 
Non possiamo certamente giurarlo, poiché non ci è noto se esista un catalogo esaustivo delle italiche elevazioni montane, ma i 116 metri sul livello dell'Adriatico raggiunti dal Colle dell'Eremita costituiscono di sicuro un simpatico primato. 
Verso la cima del Colle 
dell'Eremita (foto I.D.F., giugno 2009)

Non si tratta peraltro di una cima nel senso classico, con pareti rocciose o erbose, ma soltanto del punto culminante dell'isola di San Domino, la più frequentata del piccolo arcipelago delle Tremiti, proprio di fronte al promontorio del Gargano, zona in cui trascorremmo una decina di giorni beati. 
Dalle poche case del Villaggio San Domino, sede comunale realizzata nel periodo fascista per recludervi prigionieri politici, bastano tre quarti d'ora per toccare il culmine del Colle, dapprima lungo una strada lastricata che taglia la pineta e poi risalendo una sterrata che stupisce, essendo affiancata fino in vetta da una fila di lampioni che la illuminano: prototipo di spreco di risorse, all'italiana... 
L'elevazione del Colle, piatta e coperta di macchia mediterranea, alberga i muti rimasugli della presunta Cappella dell'Eremita, unico monumento presente a San Domino, ed offre un bel panorama sulle isole limitrofe e sulle più lontane coste pugliesi. 
Raggiungemmo con soddisfazione il Colle intorno a mezzogiorno, già all'indomani dell'arrivo a San Domino, dopo il bagno in una delle tante cale, tutte da esplorare: anche laggiù, come spesso abbiamo fatto, dovevamo andare a cercare qualche montagna in mezzo al mare! 
La soddisfazione di raggiungere quella che crediamo si configuri come la "montagna" più bassa dello stivale, nel silenzio di un limpido giorno di giugno, è stata per noi unica e irripetibile.

6 lug 2015

Nel silenzio dei monti: il Col Siro del Sorapis

Siro chi? Era certamente più "ladino" l'antico oronimo “Crépo de ra Ola”, suggeritomi in una lontana chiacchierata dall'ex guardacaccia oggi scomparso Alberto Śachèo, rispetto a quello attuale, che risulta dalle carte e credo sia relativamente moderno, “Col Siro”! 
Mi riferisco al nome del singolare rilievo foggiato quasi a cupola, magramente pascolivo sul versante che guarda la Punta Nera e la Zesta del Sorapis e roccioso su quello opposto. Quotato 2300 m circa, il Col Siro si eleva isolato sull'alpeggio della Monte de Faloria, un po' discosto dagli impianti di risalita, e può essere l'obiettivo di una semplice e piacevole, quanto originale escursione nota anche agli sci-alpinisti, che inizia da Forcella Faloria, poco lontano dal rifugio Capanna Tondi. 
Sul Col Siro, fine luglio 2012 
(foto Mirco Gasparetto)
Non vale forse la pena partire da Cortina (anche se chi scrive lo ha fatto quasi sempre) con il proposito di dirigersi solo sul Col Siro; fatti i conti, però, possiamo considerarlo una cima vera e propria, battuta ab antiquo dai cacciatori, e forse dai pastori che inseguivano qualche capo sfuggito sulla Monte. Se la vetta non ha pregi alpinistici, da essa si gode un panorama molto ampio, quasi a 360 gradi: Pomagagnon, Cristallo, Zesta Punta Nera, Croda Rossa, Popena, Tre Cime di Lavaredo ...
L'ultima volta che ho calcato la sommità del Col Siro, dov'era ancora intatta la piccola croce di rami di mugo che Iside e io avevamo piantato nove anni prima, era la fine di luglio 2012. Ero con l'amico Mirco, venuto a trovarmi da lontano col proposito di visitare l'angolo di Dolomiti identificato da quello strambo toponimo. Salito e disceso il colle, chiudemmo la breve gita col pranzo e un'oretta di riposo al sole - neanche fossimo reduci da una grande scalata - sulla terrazza della Capanna Tondi, raccomandabile anche per il belvedere sulla valle d'Ampezzo. 
Quel giorno avevo salito per la quarta o quinta volta una montagna irrilevante per chi cerca la roccia pura e pressoché ignota a chi non esce dalle tracce battute, distante solo un'ora e mezzo dalla stazione a monte della comoda funivia di Faloria, usufruendo della quale il dislivello in salita si riduce a poco più di duecento metri.
Nonostante la brevità e la semplicità dell'approccio, ritengo che anche il Col Siro abbia qualcosa da dire ad un camminatore curioso e attento. E' la Montagna che mi attrae in questi anni affaticati: minore, umile, fuori dalle rotte levigate da migliaia di passi e spesso alterate da gradini, ponti, scale e scalini, ma ricca di fascino e poesia.

3 lug 2015

Brutta avventura sulla Costa del Bartoldo

Posto questo racconto con un po' d'imbarazzo, perché del fatto non ho mai scritto e l'ho sempre tenuto per me. Comunque, oggi sono passati dieci anni da un fatto che, se le cose si fossero messe un po' diversamente, forse non sarei qui a raccontare.
Domenica 3 luglio 2005: porto l'amico Francesco (siciliano di Bivona, che stando a Cortina si è appassionato alla montagna) sulla via normale della Costa del Bartoldo, nel gruppo del Pomagagnon. 
Già durante la mattinata ho una specie di preavviso: per toccare la croce di vetta  - 1000 metri secchi di dislivello - fatico un po' più del solito, nonostante la giornata sia perfetta e mi senta bene. 
La salita (per me, la decima in un quindicennio) si svolge comunque senza intoppi, il grande diedro è piacevole come sempre e Francesco è contento di conoscere un luogo fuori dalle solite mete d'Ampezzo.
Dopo lo spuntino e il riposino ai piedi della nuova, lucente croce, iniziamo a scendere. L'amico si trova già avanti, alla mia sinistra: ad un certo punto, su quel maledetto ghiaino della cresta sommitale mi sbilancio, cado e rotolo supino per almeno una ventina di metri, fermandomi - io dico, per miracolo - in una conchetta al sommo della placconata che scivola verso il catino ai piedi della cima. 
Tutto avviene in pochi attimi, e ovviamente non c'è il tempo di rendersene conto. Mi ritrovo semiseduto nella conchetta, sul bordo delle placche che, seppur non verticali, sono lunghe e piuttosto inclinate. Non ho neppure un graffio e lo zaino mi ha salvato la schiena dagli urti: è andata bene!
Le ultime rocce della normale, verso la vecchia croce
(photo courtesy by vieferrate.it)
Con i sensi quasi ottusi dallo spavento mi rimetto in piedi. Francesco mi raggiunge per sincerarsi che non ci siano problemi, mi rincuora e scendiamo pian piano. Ma mi tremano le gambe, sento addosso un'immensa stanchezza e così, conoscendo il percorso, mi premuro di portarmi verso l'interno della placconata, ai piedi della fascia rocciosa soprastante, in una zona meno esposta.
Non so come, ma con una notevole forza di volontà, arrivo alla base e riesco a scendere per la Val Padeon fino a Ospitale, e poi a casa. 
Non faremo parola di quanto è successo, né fra noi né con altri, ma quella notte mi sveglierò di soprassalto a pensarci. E mi capita di pensarci ancora oggi.
Ho poi abbandonato (perché l'avevo salita a sufficienza...) la Costa del Bartoldo, cima selvaggia e molto amata, che però quel 3 luglio di dieci anni fa voleva quasi "tradirmi". 
Allora, per un bel pezzo, di rocce non volli più saperne.

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...