29 feb 2012

Marino Lusy, mecenate e alpinista

Capita ancora, dopo un secolo dalla salita, di trovare citata la "Torre Lusy" delle Cinque Torri, pilastro aguzzo alto un centinaio di metri e quasi appoggiato alla Torre del Barancio (con la quale e con la Torre Romana forma la Torre Seconda), come "Torre Lucy".
A sinistra la Torre Lusy
Lucy (Lucia, in inglese) non c'entra nulla. La grafia esatta dell'oronimo è "Lusy". Esso è legato al primo salitore, che giunse in cima il 1° agosto 1913 con la guida ampezzana Bortolo Barbaria Zuchìn (1873-1953), il quale propose d'intitolare la guglia al suo cliente. 
Riguardo a Barbaria, dalla Rivista del Cai del 1914 appare inesatto che Lusy avesse salito la torre con un'altra guida ampezzana, Zaccaria Pompanin "Zàcar de Radeschi" (1861-1955), come riportato da tante fonti  a partire dalla guida "Dolomiti Orientali" di Antonio Berti. Forse questa inesattezza ora potrà essere corretta, dopo oltre 80 anni?
Ma chi era Lusy? Per saperlo, andiamo a Zurigo. La città elvetica ospita una delle collezioni di xilografie giapponesi "Surimono" (che significa semplicemente "cose stampate") più vaste e importanti d'Europa, composta di 300 pezzi.
Zurigo deve questa raffinata raccolta a Marino Lusy, collezionista e mecenate che la donò al Museum fuer Gestaltung. Dal 2005 la collezione è stata trasferita in prestito permanente al Rietberg Museum, sempre a Zurigo.
Marino Lusy era nato il 28/12/1880 a Trieste,  ma i suoi genitori erano originari dell'isola greca di Cefalonia. Studiò architettura ma non ne fece una professione, seguendo invece le sue inclinazioni artistiche e l'interesse particolare per le incisioni. Anche se alcune sue opere grafiche esposte a Parigi, Chicago e Bonn lo definivano un artista, esse non gli diedero fama.
Visse a Trieste, Parigi, Montreux e viaggiò molto nel Medio e nell'Estremo Oriente (soprattutto in Giappone, che visitò più volte) e in Africa.
Buon alpinista, in Dolomiti ha lasciato il nome alla torre omonima e ad una via sulla Cima d'Ambrizzola, aperta sempre con Bortolo Barbaria l'11/9/1913.
Visse in maniera riservata, e di lui si sa poco. Come testimoniano i suoi ex libris, si occupò anche di psicologia e di occultismo. Nel 1921, dopo aver frequentato per acquisti di antiquariato il Canton Vallese, chiese la cittadinanza elvetica. Morì l'1/2/1954 a Châtelard, presso Montreux.
Dal 1960 lo ricorda una  targa sul palazzo di Via Pellico 1 a Trieste, da lui donato alla città perché fosse destinato a fini caritatevoli.
Ecco dunque svelata la questione Lucy-Lusy!

27 feb 2012

Torre Inglese, oronimo "moderno"


La quinta delle Cinque Torri d'Averau (che, credo si sappia, non sono solo cinque, ma erano 11 e dopo il crollo della Trephor nel 2004 sono rimaste in 10) da oltre un secolo si chiama “Torre Inglese”.
Come per tanti oronimi alpini che hanno spesso una storia abbastanza recente, anche questo ha un suo perché "moderno".
La caratteristica torre, alta 53 metri e riconoscibile anche da Cortina (ad esempio, da Peziè-Manaigo) per la sua forma a corno, venne salita per la prima volta nell'estate 1901.
La cordata che giunse sull'esile sommità era composta da due guide locali, Angelo Maioni Bociastorta (35 anni) e Sigismondo Menardi de Jacobe (32), che accompagnavano un cliente inglese, tale Wyatt.
Torre Inglese, giugno 2009
In omaggio al britannico, da quel giorno la torre, terza ad essere salita nel gruppo, si chiamò Inglese.
Obiettivo di una salita breve e adatta ai principianti (due tiri di III), sulla solida dolomia dell'Inglese hanno lasciato il nome personaggi importanti dell'alpinismo: Severino Casara nel 1924 aprì per caso una breve variante alla via originaria; una dozzina di anni dopo Gino Soldà superò da solo il breve spigolo N; nel 1960 Bepi Pellegrinon e Vittorio Fenti, forse però preceduti da altri, salirono il fotogenico spigolo S.
La Torre è stata anche lo sfondo di riprese cinematografiche: nel 1927, infatti, sulla normale furono girate alcune scene invernali di "Maciste nelle Dolomiti", con Bartolomeo Pagano.
La Torre Inglese è stata la mia prima cima salita in arrampicata, con lo Scoiattolo Luciano Da Pozzo nell'estate 1975. La risalii da capocordata con un altro Luciano nell'aprile 1976 e qualche tempo dopo, infine, fu una delle mie rare salite solitarie.

24 feb 2012

D.Oe.A.V. - Sektion Ampezzo 26.2.1882 § Cai - Sezione di Cortina d'Ampezzo 26.2.2012

Domenica 26 febbraio il Cai - Sezione di Cortina, nato come Sektion Ampezzo del Deutsch und Oestereichischer Alpen Verein,  festeggerà il 130° compleanno durante il consueto "Incontro d'inverno" al Rifugio Croda da Lago - G. Palmieri, storico punto d'appoggio di proprietà sezionale fin dal 1919.
Ritrovo previsto alle 8.30 nel piazzale di Campo di Sotto, da dove i partecipanti si trasferiranno con l'autobus, gentilmente messo a disposizione dalla SE.AM. Srl, fino a Rucurto, sulla strada del Passo Giau.
Rifugio Croda da Lago - G. Palmieri
Incontro d'Inverno 15/2/2004
Da qui saliranno insieme al Rifugio lungo i sentieri 437 e 434; il tragitto può essere compiuto a piedi con le "ciaspe" o con gli sci da alpinismo.
Per l'occasione, al Rifugio la Sezione sarà lieta di offrire a soci, amici e simpatizzanti un brindisi, accompagnato da un dolce dei gestori, Modesto Alverà e famiglia.
Complimenti al Cai Sezione di Cortina per i 130 anni, raggiunti in salute e freschezza!

23 feb 2012

Con Andrea sulle Pale di Misurina


Quando ritrovo su riviste e libri di montagna vie che ho conosciuto, mi viene da chiedermi quale sia stata la molla che mi spingeva a scegliere proprio quelle vie per passarvi le nostre giornate.

Pala NE di Misurina col versante della via normale,
dal Passo delle Pale, 31/8/2008

E’ il caso della Pala SO di Misurina (gruppo del Popena), uno dei due maggiori rilievi del crinale che scorre sopra il lago di Misurina, tra la sella dove sorgono i ruderi dell'ex Rifugio Popena e il Passo delle Pale.

Verso NO le Pale (la NE e la SO, di soli 2 metri più alta) guardano la Val Popena Alta con belle pareti che nascondono alcune vie di difficoltà classiche e di discreto interesse esplorativo.

Quell’anno fu proprio una di queste, lo spigolo NO della Pala più elevata, a colpire chissà come la mia fantasia. Solcato da una via aperta da Sandro Del Torso con Gianfranco Pompei nel 1938, nella prima parte lo spigolo offre una salita su roccia mediocre, ma piacevole.

Lo confermo, anche se – delle tre cordate che superano il pilastro arrotondato basale - ne ricordo solo una di un certo interesse, esposta e con bei passaggi. Il resto mi parve un po' banale: le tre cordate superiori non superano il II e rimontano un largo colatoio né solido né godibile, ma ci piacquero lo stesso, come ci piacque arrivare in cima e traversare verso l’antistante Pala NE, distante una manciata di minuti di cresta sottile e piuttosto esposta. 

Nonostante siano molto vicine a Misurina, le due Pale di Popena sono solitarie e raramente frequentate: mi è rimasta impressa la croce che trovammo in vetta alla Pala NE, ottenuta da un rugginoso segmento d’antenna televisiva, che chissà chi aveva avuto la fantasia di portarsi fin lassù!

A me e all’amico Andrea che mi seguiva con entusiasmo, la via Del Torso - Pompei parve abbastanza carina: almeno, non ritenemmo di aver sprecato la giornata, pur essendoci trovati su cime, pareti, itinerari che non sono passati alla storia.

Avevamo perlomeno trascorso una giornata in pace, su una via forse modesta e che, oltre alla nostra, in tanti anni non avrà avuto moltissime ripetizioni ma sulla quale, e questo fu il pregio maggiore, ci godemmo un silenzio d'oro.

21 feb 2012

130 anni fa (?): Piero e Bortel sul Cristallo, d'inverno


Un fatto storico  che merita un ricordo anche a lunga distanza di tempo, se non altro per la "dicotomia" dell'esatta collocazione temporale, riguarda la prima salita del Monte Cristallo d'inverno. 
Monte Cristallo e Piz Popena, versante S, 
dall'Alpe Faloria (settembre 2003)
Già tentato dal britannico Moritz Holzmann con Santo Siorpaes Salvador nel gennaio del '72 e fallito per l'eccessivo carico di neve, il Cristallo riuscì - e divenne uno dei suoi  camei - alla guida Pietro Dimai Deo in compagnia di Bortolo Alverà,  apparso e subito scomparso dalla storia  dell'alpinismo poiché non era uno scalatore, ma l'I.R. Maestro Stradale (come Siorpaes, ma impiegato sulla strada da Cortina al valico di Tre Croci).
I due, rispettivamente noti in Ampezzo come "Piero de Jènzio" e "Bortel de chi de Pòl", avrebbero calcato la sommità del Cristallo il 22/11/1882, in un momento a rigore escluso dal calendario alpinistico invernale, che inizia col 21 dicembre e si conclude col 21 marzo
Per qualcuno la salita andrebbe collocata invece al 22 febbraio dello stesso 1882, 130 anni fa. Pietro Dimai, ventisettenne, era ancora celibe, mentre il suo occasionale compagno, di sei anni più anziano, a casa aveva moglie e figli.
I due ampezzani dovettero trovare difficoltà sicuramente a causa della temperatura, poiché tutto sommato la via normale del Cristallo si svolge fra i 2800 e i 3200 m ;  d'estate era ed è alla portata di chi abbia un po' di disinvoltura e magari l'abitudine ad una certa esposizione, ma d'inverno pareti poco ripide come quella cambiano molto; diventano le peggiori, e in 130 anni forse l’invernale non ha avuto tante imitazioni (ricordo la recente salita della guida Mario Dibona Moro, durante la sua traversata ad anello dei monti di Cortina, un decennio fa).
Chissà come videro Piero e Bortel la loro valle dai 3216 m del Cristallo? Frazioni, campi, prati immersi nella neve e nel silenzio, strade ridotte a sentieri, un quadretto da presepio del quale purtroppo non rimase traccia scritta e oggi possiamo soltanto immaginare. 
Fu quella la prima invernale ufficiale di una montagna ampezzana, bissata nove anni dopo, il 10/12/1891, da Piero con il giovane cugino "Tone Deo" e Jeanne Immink sulla più difficile, anche se più bassa Croda da Lago.
Pochi mesi più tardi, la Immink si ripeté salendo per prima d'inverno anche una cima minore, ma "cattiva": nell'inverno 1891-1892 infatti, le riuscì di salire il Becco di Mezzodì, la celebre meridiana degli ampezzani.

17 feb 2012

Bei tempi: cinque "parés" in undici mesi

Bei tempi? Finiamola, per una volta, di vagheggiare sempre quello che fu: accade anche oggi, seppure in maniera  diversa! Ma soprattutto allora, ogni occasione era buona per festeggiare qualcosa o qualcuno. 
16^ salita della "paré de ra Fiames":
sul penultimo tiro, con Mauro, 24/5/87
Non avrei potuto non farlo anche per la mia sudata laurea. E perché non con una bella salita ? 
Detto  e fatto, chiamai Nicola, con cui nell'autunno precedente avevo salito due famosi quarti gradi dolomitici, il diedro Dallago sulla Cima Cason de Formin e il  diedro Dall’Oglio sulla Cima del Lago, prima di accingermi con riluttanza   a scendere a Trieste per gli ultimi esami, e gli sparai una proposta: "ra paré de ra Fiames", ovvero la Via Dimai-Heath-Verzi sulla parete SE della Punta Fiames, nel gruppo del Pomagagnon. 
Era il 20 di aprile, tredici giorni dopo il coronamento dei miei studi; il cielo non mostrava colori proprio estivi, ma la temperatura ormai era piacevole e così partimmo di gran carriera, fidando - come sempre - nella nostra buona stella. 
Stranamete, quel giorno lungo la "paré" non c’era nessuno, e così ci godemmo come si conviene una classica, che conoscevo quasi appiglio per appiglio e sulla quale mi sentivo più che sicuro. 
Nicola non l'aveva mai salita, data anche la giovanissima età. Per lui fu una scoperta; per me l'occasione di condividere con un altro amico il piacere di una gita divertente, generò l'ennesimo motivo di soddisfazione
Non ho particolari nitidi da raccontare di quella giornata, in cui misi in carniere la mia  salita n. 15, la quinta nell'arco di soli undici mesi, della "paré". 
Ricordo però che, scendendo lungo il ghiaione di Forcella Pomagagnon, il tempo si fece nero e cominciò a piovere di brutto. 
Sotto l’acqua fine ma insistente di quella giornata di primavera, corremmo lungo il bosco fino al Putti, saltammo in macchina e via a casa di Nicola, dove l'umidità (e la giustificabile ansia di sua madre) furono presto fugate da una bella asciugatura col phon e da un tè bollente, che ci rimisero in pace con il mondo. 
Naturalmente, venimmo dettagliatamente interrogati sulla salita, della quale credo anche Nicola  conservi ancora il ricordo. 
E per me quella fu la prima via alpinistica “da dottore in giurisprudenza”: volete mettere il gusto di farlo sapere?

15 feb 2012

"Poco più di una passeggiata": quasi 59 anni fa la prima invernale della Croda Rossa


La Croda Rossa d'Ampezzo dalla Valfonda,
23 ottobre 2011
Seppure mi risulti che in vetta alla Croda Rossa d'Ampezzo, durante la I  Guerra Mondiale l’esercito austroungarico installò un posto di vedetta, forse presidiato in ogni stagione, la prima invernale ufficiale della cima fu portata a termine solo nel secondo dopoguerra, quasi 59 anni fa. 
Il 9/3/1953, infatti, cinque ampezzani, gli Scoiattoli Lino Lacedelli de Mente, Ugo Pompanin Baa (unico ancora vivente, classe 1926), Guido Lorenzi dai Pale e Albino Michielli Strobel, con il segretario della sezione del Cai Angelo Menardi Milar, si aggiudicarono la salita in giornata, prendendo le mosse dalla Val Montejela.
Il gruppo, diviso in due cordate, seguì il percorso lungo il versante NO della Croda, tentato da Paul Grohmann con i cacciatori Angelo Dimai Deo e Angelo Dimai Pizo nel 1865, arenatosi  a poca distanza dalla cima e completato cinque anni dopo da Edward R.  Whitwell con Christian Lauener e Santo Siorpaes Salvador, che giunsero in cresta dopo aver risalito il canalone O. 
Prescindendo dalle difficoltà tecniche della salita (secondo Berti,  II grado superiore), che però d'inverno aumentano considerevolmente, la prima invernale della Croda Rossa, che non mi pare sia stata ripresa dalla stampa del tempo, ebbe un certo valore alpinistico.
Anche se Ugo Pompanin, ad una mia precisa domanda, tempo fa ammise che, tenuto conto delle ottime condizioni in cui le cordate trovarono la via, per quei cinque giovani allenati si trattò di "poco più di una passeggiata".
L'invernale di quella imponente e poco consumata montagna fu ripetuta per la prima volta dopo 14 anni; la seconda salita infatti, è del 1967 e spettò a Marino Dall’Oglio, accademico del Cai e profondo conoscitore della montagna,  con la consorte Klara.
Quasi certamente  d'inverno la Croda Rossa fu, e rimane meno problematica che d'estate, poiché il freddo solidifica e rende più sicure le rocce, soprattutto su questa cima, celebre per la sua consistenza a dir poco inquietante.

13 feb 2012

Il senso della vetta.

Su di una vetta, nel piccolo spazio.
Un panorama vasto, infinito, si perde all'orizzonte.
Dedicato a Mario Crespan (1941-2010):
con lui su di una vetta, 26 luglio 2008 
Silenzio pauroso, immensità che sgomenta, luce abbagliante che acceca, profondità nere, piene di mistero.
Che cosa cerca il piccolo essere, lassù?
Quasi sperduto, in alto dominante nel profilo del cielo, il suo occhio volge attorno sul mondo.
Una gioia interna lo esalta, lo rende fiero di sè, sente nell'anima la forza della conquista.
(da W. Maestri, Dove la neve cade d'està, Bologna 1948)

11 feb 2012

Solo

Una delle poche ma godute avventure in cui sperimentai la vera e beata solitudine, risale al 1995, anno in cui si svolse una delle fasi più impegnate del mio vagare per i monti. 
A quel tempo, gli amici mi avevano assegnato l’iperbolica qualifica di “Re del marzo” (ossia della roccia friabile). 
Non so come, ma nelle uscite tendevo spesso a proporre obiettivi di difficoltà limitate,  però spesso con roccia infida e non immuni da rischi oggettivi che, peraltro, la buona sorte ci consentì sempre di evitare. 
A fine luglio ero in ferie: il 25 feci con un'amica  la normale della Costa del Bartoldo e il giorno dopo, essendo feriale, progettai di godermi da solo una traversata “marza”, che avevo già effettuato qualche tempo prima in compagnia. 
Partito da Tre Croci, salii sulla Zesta per la  via normale e scesi per la via Casara da SO al Rifugio Vandelli, tornando poi a Tre Croci. 
Pur lunghetta, non si trattò invero di una prestazione d’impegno esorbitante. La  normale della Zesta da N è valutata di 1°, anche se - a mio modesto parere - almeno l’aggiramento del gendarme nel tratto basale della cresta, esposto e instabile, presenta difficoltà di 2°. 
La via Casara sul lato opposto fu anch’essa giudicata di 1°, e può starci, perché il camino finale (unico passaggio delicato, una decina di m di 2°) si può aggirare, ed il resto è poco più di un pendio molto erto di rocce sgretolate con ghiaie ed erba. 
L’ambiente in cui si svolge la traversata, nonché la natura della dolomia palesemente scadente in tutta l’area, la rendono comunque  non banale soprattutto per un solitario, per quanto preparato, attrezzato e veloce possa essere. 
La Zesta dalla Punta Nera, luglio 2008; a destra sull'erba 
passa la Via Casara
Quel giorno mi sentivo in forma, ma mi trovai davvero solo, soprattutto scendendo verso i Tondi di Sorapis, dove indovinai il varco per toccare il fondo dell'anfiteatro solo grazie alle peste di alcuni camosci che avevo intravisto da lontano. 
In seguito tornai sulla Zesta nel settembre 1997. Ero in dolce compagnia, e per questo giudicai più prudente tornare a Forcella del Ciadin per la normale, eludendo il primo tratto della cresta N con una rapida variante, della quale fino allora mi era ignota l’esistenza. 
La traversata del 1995 si dimostrò una gita  fra le più appaganti della mia carriera; ma non so se la ripeterei ancora, tanto più in solitaria ...

8 feb 2012

Esisteva l'alpinismo, prima del 1786?

Esisteva l'alpinismo, nel senso moderno del termine, prima della salita del Monte Bianco ad opera di Paccard e Balmat l'8 agosto 1786? 
Non si sa esattamente: si possono avanzare ipotesi, incrociando quanto raccontano i libri (commentari, resoconti di viaggio, saggi scientifici ecc.) dal 1500 in poi, non solo sulle Alpi ma anche negli altri continenti. 
Desiderio d'elevarsi spiritualmente verso l'alto, per avvicinarsi agli dei? Curiosità esplorativa e desiderio di conquista? Necessità di sopravvivenza, che spingevano gli avi a cercare pascoli e inseguire prede anche in luoghi abitati da draghi e da mostri? 
Innumerevoli possono essere stati i motivi per sfidare, spesso temerariamente, l'ignoto. Già i Greci e i Romani avevano avuto occasione di affrontare le montagne, non sempre per toccarne le sommità ma più spesso semplicemente per attraversarle. Si trovano testimonianze di tali spedizioni in Senofonte, Sallustio, Strabone. 
Vennero poi le celebri salite del Medioevo, da Francesco Petrarca sul Ventoux (1336) a Bonifacio Rotario d'Asti sul Rocciamelone (1358), da Antoine de Ville sul Mont Aiguille (1492) a Leonardo da Vinci sul Momboso (1511). E poi via via, sempre più in alto. 
Anche per la valle d'Ampezzo, riteniamo l'interrogativo di non facile né univoca soluzione, potendo contare su scarsi punti di riferimento.
Incisioni  scoperte solo nel 1999 sulla Rocheta de Cianpolongo, che
 testimoniano una salita alpinistica di 233 anni fa  (E.M., 8/6/2003)
Chi avrà salito le nostre crode prima del 1863, anno in cui Paul Grohmann giunse da Vienna ad inaugurare in Tofana di Mezzo l'era dell'esplorazione dolomitica? E soprattutto, perché lo avrebbe fatto?
Qualche cosa si ricava dalle cronache storiche e dalle testimonianze rinvenute sul terreno: ad esempio, per la prima fonte, nella "Cronaca di Ampezzo nel Tirolo dagli antichi tempi al sec. XIX" Don Pietro Alverà cita come scalatori ante litteram il suo omonimo avo cacciatore (+1861) e Don Giuseppe Manaigo (+1858); per la seconda fonte, ci sono ad esempio le croci scolpite lungo la linea confinaria di Ampezzo con le comunità contermini. 
Altro si può supporre, altro ancora manca, ma è  sempre uno stimolo per continuare a cercare.

4 feb 2012

Sullo Scoglio di San Marco

Giugno e settembre '06, luglio e agosto '07, maggio e giugno '08; nella nostra ricerca di recessi  il meno affollati possibile,  abbiamo  diretto finora per sei volte i nostri passi verso lo Scoglio di San Marco, di cui inizialmente non sapevamo nulla, pur trovandosi a pochi chilometri dalla nostra residenza. 
Tre Cime di Lavaredo, dalla Croda de l'Arghena,
25/5/2008
Lo Scoglio è un'ampia cupola coperta di  mughi, quotata 2006 m e solcata da una lunga trincea che termina in una galleria, e fa da contrafforte alla Croda de l’Arghena, ai piedi delle  Tre Cime di Lavaredo. 
Può interessare chi cammina anche perché – e ciò traspare con chiarezza dal nome – per secoli costituì l’avamposto più settentrionale della Repubblica di Venezia verso il Tirolo, e tuttora segna il confine fra le terre venete-cadorine e quelle sudtirolesi. 
La via  d’accesso allo Scoglio, realizzata dai fanti della Brigata Marche durante la prima   guerra mondiale e poi abbandonata, fino a pochi anni fa non era quasi percorribile. 
Essa è stata riscoperta, sistemata e segnalata con discrezione da alcuni volontari auronzani, che hanno dedicato il sentiero, inaugurato il 1° luglio 2006, all'ingegnere Silvano De Romedi, escursionista che amava i luoghi solitari. 
La targa nella galleria in vetta
allo Scoglio di San Marco
Per salire sullo Scoglio. si parte da Malga Rinbianco, lungo la strada delle Tre Cime. Dapprima nel bosco e poi risalendo  senza difficoltà la Costa dei Lares, dopo una novantina di minuti si giunge sulla sommità, dove sono visitabili la trincea e la galleria, che termina in un finestrone  affacciato verso la Val di Landro.
Ideale per una gita di poco più di mezza giornata, il “rinato” Scoglio di San Marco merita considerazione per più motivi. In primo luogo per la storia che lassù è stata scritta dal 16° secolo fino alla Prima Guerra Mondiale; per la natura  in cui la cima s’inscrive, per la visuale che offre e la solitudine delle sue pendici, che si allungano fino all'incombente Croda de l’Arghena lasciando intravedere un  interessante collegamento, segnato e percorribile con maggiore favore in discesa.

2 feb 2012

Torre Wundt, forse la montagna che ho amato di più in assoluto

La Torre Wundt, forse la montagna che  ho amato di più in assoluto e dove sono  salito per 19 volte nell'arco di un quindicennio, fin quasi alla fine del  secolo XIX non si chiamava così. 
Gli auronzani, sul cui territorio sorge il robusto torrione che domina dall'alto il magro Ciadin dei Toce, dove da tempo immemorabile pascolavano gli ovini della Val d'Ansiei, si chiamava Popena Piciol, Piccolo Popena. 
Chissà perché Popena, visto che le cime del Popena, la Val Popena Alta e Bassa, il Passo e la Forcella Popena, le Torri di Popena, il Dito di Popena si trovano  tutti dall'altra parte della valle, sul confine di Auronzo con Cortina? 
Torre Wundt, fessura SE, 27/8/1984
In ogni modo, soltanto nel 1893 due alpinisti posarono lo sguardo sul torrione. Erano la  guida di Cortina Giovanni Siorpaes Salvador detto “Jan de Santo”, e il  Barone Theodor von Wundt, alpinista germanico con due passioni: le scalate invernali e la fotografia. 
Il torrione, che incombe per circa 200 m d'altezza sul Passo dei Toce e i due alpinisti salirono il 27 giugno circuendolo dapprima da N per un canale, poi rimontando alcune cenge, un ripido pendio roccioso ed una parete di solida dolomia, dal 1893 si chiama Torre Wundt a ricordo del pioniere. 
La sua guida, morta quarantenne nel 1909, è ricordata invece poco lontano, dal Campanile e dalla Cima Antonio Giovanni. 
Dopo mezzo secolo dalla prima salita, nel 1938, fu scoperta la via da SE, lungo la fessura-camino che s'impone alla vista nell'ultimo tratto di salita dal Pian dei Spiriti al Rifugio Fonda Savio, ed  è diventata l'itinerario più frequentato, anche se non certamente facile, per accedere ai 2517 m della vetta.

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...