21 dic 2012

“Oujores – Poesies par anpezan” di E. Majoni e I. Del Fabbro


Proseguendo il proprio impegno editoriale per la promozione e la tutela della lingua e cultura ladina, l’Istituto Ladin de la Dolomites di Borca di Cadore ha dato il proprio patrocinio ad una nuova opera, “Oujores – Poesies par anpezan” di Ernesto Majoni e Iside Del Fabbro, che prosegue la collana di poesia ladina avviata lo scorso anno dall'Istituto con “El tenpo che core – Poesies e stories par anpezan de Mario Colli Dantogna” e “Ra steles del mè ziel – Poesies par anpezan 1985-1992.
Edita dalla Tipografia Ghedina di Cortina, l’opera è introdotta in copertina da una fotografia dello scomparso Bortolo De Vido che raffigura il Pelmo (cima che riveste un grande significato per Majoni e Del Fabbro). Essa raccoglie una trentina di poesie in ladino ampezzano di entrambi gli autori, a carattere perlopiù intimista, composte negli anni ’80-’90 del Novecento e in parte inedite.
Oujores – Poesies par anpezan” si trova presso la Cooperativa di Cortina e l’Istituto Ladin de la Dolomites, a € 7,00 la copia.

18 dic 2012

Angelo Majoni (1870-1932), medico e studioso di cultura alpina ma non alpinista

In questo contributo non si parla di montagne o scalate, ma l’ambientazione riguarda comunque le Dolomiti.
Protagonista della nostra storia fu  Angelo Majoni "Boto", un medico dentista, ginecologo e internista ampezzano la cui fama valicò i confini del paese nativo, studioso di cultura alpina e coautore della prima guida turistico-alpinistica di Cortina, scomparso giusto ottant'anni fa, a metà dicembre  1932.
Il dottor Majoni con uno dei suoi nipoti, 1917 ca.
(photo: archivio Ernesto Majoni)
Oltre che un professionista ligio e stimato, il medico fu uno sportivo: pioniere dello sci alpino,  giocatore di golf, socio e consulente della Società Ginnastica-Turnverein, del Museo Elisabettino di Tino Colli Codesc e dei Pompieri Volontari. Non credo sia stato però un alpinista, almeno non un arrampicatore.
La sua opera più famosa è senza dubio “Cortina d’Ampezzo nella sua parlata. Vocabolario ampezzano con una raccolta di proverbi e detti dialettali usati nella valle”, il primo glossario dell'ampezzano, che Angelo Majoni concluse nell'ottobre 1928 e pubblicò l'anno seguente.
Ho scritto e parlato in varie sedi della sostanza letteraria e dialettologica dell’opera del mio omonimo. Vorrei ora richiamare un piccolo, simpatico episodio, sicuramente ignoto ai più.
Il 28/10/1930 (casuale ottavo anniversario della Marcia su Roma), nell’osteria di Ospitale presso Cortina si tenne una cena. Invitati erano gli ampezzani nati nell’anno 1870, vale a dire i sessantenni del paese, uno dei quali (forse  fu proprio lui l'organizzatore) era il dottor Angelo Majoni.
In quell'occasione conviviale, il medico omaggiò tutti i coetanei presenti con un vocabolario, uscito per i tipi della Tipografia Valbonesi a Forlì, munito di dedica autografa.
Una galanteria d’altri tempi? La notizia deriva da una copia di “Cortina d’Ampezzo nella sua parlata” in mio possesso, conservata in casa di un ampezzano che ebbe la fortuna di vivere molto più a lungo del medico e forse la consultò spesso (o la conservò in condizioni precarie): quando la ricevetti, infatti, dimostrava tutti i segni dell'età!

13 dic 2012

125° della nascita di "Scimon Juscia", guida alpina

Scalata sulla Torre Grande d'Averau, anni '30
(photo: archivio Ernesto Majoni)
L’unica prima salita in cui appare il nome della guida alpina ampezzana Simone Lacedelli, noto in paese come "Scimon da Rone" o "Juscia", di cui fra due giorni si potrebbe memorare il 125° anniversario della nascita, si svolge sulla Torre Esperia, un monolito di una cinquantina di metri alle falde del Coston d’Averau, sul versante agordino del gruppo del Nuvolau.
Lacedelli giunse in vetta alla torre l’8/8/1928, con il collega Celso Degasper "Meneguto" (guida alpina patentata dal 1922) e le sorelle Emma e Giovanna Apollonio, che diverranno poi le loro compagne.
Risulta che la Torre, battezzata col nome della villa delle sorelle alpiniste in centro a Cortina e la cui salita presentò difficoltà abbastanza secche, in oltre ottant'anni abbia riscosso poco interesse fra gli scalatori. Di recente però, le vicine pareti della Croda Negra sono state riscoperte e valorizzate dagli alpinisti, che vi hanno tracciato numerose vie di stampo moderno, oggi popolari e frequentate.
Simone Lacedelli, figlio di Antonio "Tone da Rone", guida alpina tra il 1893 e il 1905, era nato il 15/12/1887, e iniziò la professione nel 1912. Arrampicò e camminò sui monti d’Ampezzo fino a tarda età, promuovendo negli anni Cinquanta le gite con guida per adulti e bambini:  nel 1955, ancora in servizio, accompagnava due clienti sulla Torre Grande di Averau.
Morì il giorno di San Silvestro 1970, investito da un’auto mentre camminava sotto la neve lungo la trafficata Via Cesare Battisti a Cortina. Un ricordo di Giovanna Orzes Costa – pubblicato sul numero di Natale 1988 di “Le Dolomiti Bellunesi” - ripropose appropriatamente ai paesani e a un pubblico più vasto una vecchia figura di ampezzano, esempio di una vita dedicata alla montagna.

10 dic 2012

Oggi Sandro Zardini Laresc avrebbe 50 anni

Tra gli oltre centocinquanta ampezzani che in un secolo e mezzo hanno scelto il mestiere di guida alpina, dopo il neo-patentato Bruno Verzi Sceco, che cadde dalla Torre Grande d’Averau il 26/8/1945 a soli diciannove anni, colui che è scomparso più giovane è Sandro Zardini Laresc.
Di famiglia di guide (il fratello Luciano, lo zio Arturo, i cugini Ivo e Giacomo), Sandro (classe 1962) divenne Scoiattolo e già nel 1982 guida alpina.
Croda Marcora, parete S
(photo: courtesy of bbdolomiti)
Domenica 2/9/1984 morì a causa di un incidente in moto a Pocol, occorsogli al ritorno da una scalata in Tofana con il fratello: il 10 dicembre successivo avrebbe compiuto ventidue anni.
Quando seppi della disgrazia, ero appena arrivato da Misurina, dove ero andato a salire la Punta Col de Varda lungo la “via obliqua”, facendo tra l'altro crollare un masso che spero non abbia mai raggiunto il sentiero sottostante. Si può immaginare con quale brivido pensai alla roccia friabile, al masso che mi si staccò sotto i piedi, al fatto che avevo salito una via - pur poco difficile - da solo...
L’ultima immagine di Sandro che ho risale a qualche sera prima, ad una festa campestre dei Sestieri a Fiames, in cui condividemmo il tavolo per bere una birra. Anche se ci conoscevamo poco, rimasi profondamente scosso dall’episodio, per vari motivi: l'imprevedibilità della disgrazia, l’età del ragazzo, il dolore dei familiari e di tutta la comunità, privata così presto di un giovane, già forte scalatore.
Rivedo, il giorno dopo, il corteo dei paesani in attesa di partecipare alle esequie, che da Ronco, dove abitava Sandro, si allungava lungo la strada fino al Ponte Corona: chi conosce la topografia di Cortina, sa che fra i due estremi non ci sono solo due passi!
Alla sua memoria, il 27-28/7/1985 Maurizio Dall’Omo e Renato Peverelli, “Ragni” di Pieve di Cadore, dedicarono una dura via sulla vasta parete S della Croda Marcora: un commosso omaggio ad un innamorato della montagna e dell’arrampicata, cui la sorte non concesse di coltivare a lungo la sua passione.

6 dic 2012

San Nicolò sulla "paré" della Punta Fiames

Penultimo tiro della "paré"
della Punta Fiames, anni '80
Il 6 dicembre di qualche anno fa ad Enrico (Scoiattolo e guida in esercizio da poco) e a me arrise un "exploit" di roccia, uguagliato e superato di sicuro da altri ma allora per noi importante: la via Dimai-Verzi sulla parete S della Punta Fiames, in 3 h e 50' da Cortina a Cortina.
Partiti dalla Birreria Pedavena in Corso Italia alle 10,00 del mattino, lì tornammo alle 13.50. Quel giorno, lo ammetto, la “paré” si offrì in condizioni ottimali, e così salimmo la via (pur sempre 14 tiri di corda con difficoltà di ordine classico, 3 h attacco-cima per una cordata come noi, esclusi l'avvicinamento e la discesa) in conserva e assicurandoci soltanto in due tratti.
C’è da aggiungere qualche nota, che consentì al sottoscritto una prestazione non stratosferica, se vista nel quadro dell'odierno alpinismo che mira troppo spesso al record, ma che mi piace comunque ricordare.
Per quanto riguarda Enrico, le sue capacità e abilità erano e sono indiscusse; ad esse aggiungo la fortuna di poter superare in auto la sbarra che chiude la strada forestale ai piedi delle crode, giungendo quindi comodamente quasi alla base del Graon del Pomagagnon.
Per quanto riguarda me, ci misi un po' di allenamento e la conoscenza quasi maniacale della via sulla quale in quella stagione ero già salito due volte, il 25 maggio e il 2 novembre.
La “paré” della Fiames in 230 minuti casa-casa animò una giornata irripetuta, da ricordare per le caratteristiche sportive e la giornata (un San Nicolò caldo come in settembre), ma soprattutto perché da allora "volarono anni corti come giorni ..." e, come ripeto spesso ad amici e conoscenti che all'epoca si affacciavano appena alla vita, a me pare sempre ieri.

4 dic 2012

Ricordo di Lino Lacedelli, a tre anni dalla scomparsa

Buon compleanno, "babo" (zio) Lino! 
Oggi compiresti 87 anni. Tante persone ti hanno conosciuto, ti hanno frequentato e senz'altro ti hanno ricordato in modo più ampio e magari più degno. 
Lino Lacedelli, 1^ invernale parete S
della Tofana de Rozes, via Eotvos-Dimai, 18/1/'53
Queste mie righe vogliono solo rinnovare simpatia e gratitudine nei tuoi confronti, a tre anni dalla tua scomparsa. Ripenso spesso alle uniche due gite in montagna che facemmo insieme (il Coglians, nel settembre 1987; la Tessenbergeralm in Austria, nell'aprile 2002) ed a quant'altro magari avremmo potuto fare, ma soprattutto a quello che hai realizzato - con la caparbietà, l'orgoglio e l'umiltà dei montanari - per la tua famiglia, la montagna, il turismo, la tua gente. 
L'esempio e la grinta che hai sempre mostrato perdurano ancora.
Una robusta stretta di mano, come quelle che erano il tuo biglietto da visita.

2 dic 2012

Croda dei Zestelis, una cima intrigante

Dopo anni di vagabondaggi montani mi sono affezionato alla catena del Pomagagnon, che fa da sfondo a Cortina verso N e offre svariate possibilità di camminare e salire cime e pareti di ogni difficoltà.
Ho salito (spesso più di una volta) la maggior parte delle 19 vette che mi pare si possano distinguere sulla catena: Pezovico e l'antistante q. 2014, Punta Fiames, Punta della Croce, Campanile Dimai, III Pala de ra Pezories, Bujela de Padeon, Croda Longes e quella del Pomagagnon, Testa e Costa del Bartoldo, Punta Erbing, Pala Perosego.
Croda dei Zestelis e Punta Erbing da S
(photo: courtesy of idieffe, nov. 2011)
Visto che il Torrione Scoiattoli, appendice delle Pezories, e il Campanile Perosego - che chiude la catena verso Sonforcia -  sono solo alpinistici, e la Punta Armando (sulla cresta O del Campanile Dimai) pure, mi mancano ancora tre cime: la I e la II Pala de ra Pezories e la Croda dei Zestelìs.
Sono tre montagne sicuramente visitate di rado, selvagge nel loro isolamento e, specie le Pezories, ideali per la tarda stagione, quando in alto è già comparsa la neve.
Ma, mentre delel Pale ho notizie da chi vi è salito, manco di informazioni aggiornate sulla Croda dei Zestelìs. Nel suo libro sul Cristallo del 1996, Visentini suggeriva di salirla da N, da Forcella Zumeles, ma un'altra fonte riporta anche un accesso da S, dal canalone tra la Croda e la Costa del Bartoldo, che si incrocia salendo per la III Cengia del Pomagagnon e porta sulla Forcella dei Zestelìs e in cresta.
Come le Pezories, anche questa resta una cosa da fare. Per ora studio la storia della zona, e già pregusto la soddisfazione di accedere a quei luoghi, dove l'uomo compare molto di rado e che, pur essendo accessibili con difficoltà contenute, pochi conoscono e si prendono la briga di visitare.

26 nov 2012

Il sole a 2000 metri, un mese prima di Natale


E' noto che le bizzarrie meteorologiche di questi anni potrebbero consentire anche di stare in camicia a 2000 metri, un mese prima di Natale.
Isy e il bunker superiore
Ci capitò sei anni fa come oggi, il 26 novembre del 2006, giunti ancora una volta in vetta al dosso boscoso q. 2000 di Ra Ciadenes, che domina l’antica Chiesa di Ospitale e, sia in apertura sia in chiusura di stagione, ci ha dato molto spesso l'input per un'amabile gita di lunghezza e impegno medio, molto interessante per il malinconico ambiente nel quale si svolge.
Quel 26 novembre, dopo il meritato riposo al sole che riscaldava la sommità e la consueta occhiata al piccolo bunker superiore, eretto lassù durante la 1^ Guerra Mondiale, per scendere scegliemmo la traccia militare che cala a N; su di essa pestammo un velo di neve su terreno ancora morbido e incrociammo un camoscio solitario, che balzando dall'alto all'improvviso smosse una buona quantità di pietre, causandoci un pizzico di inquietudine.
Giunti in Gotres, seguendo le orme che già solcavano lo straterello di neve sulla stradina ex militare della valle, scendemmo veloci a rivedere il sole a Rufiedo, donde fu inevitabile il rientro a Ospitale a piedi.
Fu quello un 26 novembre non improbabile da vivere, soprattutto sulla fascia fra il Tornichè e Ospitale, ma sicuramente bizzarro. A 2000 metri, a mezzogiorno e per quasi un'ora potemmo starcene al sole in camicia, mentre intorno a noi, da una certa altezza in poi, la neve aveva già spolverato cime e forcelle e la Strada d’Alemagna era in piena ombra.
Il silenzio che avvolge Ra Ciadenes, solitamente assoluto, quella volta fu rotto soltanto da un elicottero, che volava basso verso S. Per un po’, accompagnò i nostri passi anche il solenne roteare di un’aquila, presenza piuttosto rara e sempre affascinante per chi ama la Montagna.

24 nov 2012

Invernali sul Pomagagnon di sessant'anni fa: briciole di storia

Alcune interessanti salite invernali sulle crode del Pomagagnon, la dorsale che fa da cornice alla conca ampezzana verso N, risalgono a sessant'anni fa, alla stagione invernale 1952-1953.
Testa e Costa del Bartoldo, dalla zona di Mietres
Il ciclo inizia infatti il 18 gennaio 1953, quando Ezio Costantini (medico alpinista di Borca che visse e operò per anni a Cortina, dove molti lo ricordano) con gli amici di Venezia Creazza, Zambelli, Penzo, Pensa e Gorup Benanez ripeté la via aperta nel 1910 da Terschak e Mayer lungo la cresta SE del Campanile Dimai.
Una settimana più tardi Penzo, Gorup Benanez e Polato giungevano in cima da SO alla Croda Longes, probabilmente per l'itinerario tracciato nel 1890 dalla guida Antonio Constantini "Tone Mostacia" col britannico Sidney Jones, seconda salita nel Pomagagnon.
L’8 febbraio lo Scoiattolo Bruno Alberti Rodèla guidava per primo d'inverno alcuni amici sulla parete SE della Testa del Bartoldo lungo la Diretta Dibona, aperta nel 1937 da Ignazio e Fausto Dibona Pilato con Hermione Blandy. Un mese dopo, Beniamino Franceschi Mescolin rifaceva la stessa salita con altri.
 Sempre l'8 febbraio Costantini saliva con Pensa, Penzo e Gorup Benanez la via tracciata da Luigi Menardi "Iji" e Antonio Zanettin sulla parete S della Punta Erbing nel 1942
Il 1° novembre 1953, infine, Penzo, Varagnolo e Gorup Benanez raggiungevano in condizioni invernali la Croda dei Zestelis, forse per la via aperta nel 1903 dalle guide Zaccaria Pompanin "'Sacar de Radeschi" e Angelo Zangiacomi "Pizenin "Sacheo" con Robert Grauer.
Dopo un inverno così movimentato, sul Pomagagnon (dove peraltro spesso si arrampica in quella stagione in condizioni quasi estive), sicuramente furono compiute altre invernali di un certo rilievo, ma purtroppo nessuno ne ha più tenuto il conto (o non ne ho trovato la notizia).

15 nov 2012

Lungo lo "spigolo Fanton" della Croda Bianca



Le Marmarole, è noto, sono un gruppo di montagne dolomitiche ancora piuttosto selvaggio, meno battuto, ricco di possibilità per lo scalatore, l’amante delle vie normali, l'appassionato dei grandi sentieri. 
Fra le, purtroppo scarse, giornate passate su quei monti, alcune delle quali ho rivissuto in altri scritti, spicca senza dubbio l'ascensione della Croda Bianca. 
La cima in questione è quell'enorme pilastro piramidale che credo tutti abbiano visto almeno una volta dal  Ponte Cadore, salendo verso Cortina. 
La Croda Bianca a ds., con lo spigolo Fanton
(photo: courtesy of Roberto Zanette)
Non è una cima facile, e senz'altro una delle più
estetiche delle Dolomiti. La sua peculiarità riposa
indubbiamente nella sua grande pace, immersa com'è in una solitudine e un silenzio  impagabili, in una natura da gustare ad ogni passo, con un occhio reverente alla storia.
Mi è occorso di salirvi tempo fa con mio fratello per la cresta SE, detta anche (a ragione, se la si osservi da meridione), “spigolo Fanton”. Non è la via normale, e nemmeno la più semplice, per giungere in vetta, ma per l'estetica superba, le difficoltà medie e continue della progressione, lo splendido panorama, è davvero un bel gioiello. 
Come tante altre salite nel gruppo, la prima della cresta SE della Croda Bianca spettò ai fratelli Arturo e Umberto Fanton di Calalzo, il 30/6/1910. 
Fatti i conti, si tratta di 600 m circa di via, con difficoltà fino al III scarso, ma da non sottovalutare. Stranamente il passo più ostico non si trova in salita, ma in discesa: c'è una cengia ripida, marcia e esposta, da scendere per poi risalire verso i caratteristici torrioni detti “Dante e Virgilio” e traversare a Forcella Marmarole, da dove poi si torna alla base. 
L'escursione, compiuta intorno a Ferragosto, ci gratificò come poche altre: ci legammo solo in alcuni tratti, e salimmo tutta la cresta in circa tre ore. Eravamo ben allenati e attrezzati, quindi la cengia, lo scavalco dei due torrioni “letterari”, la  traversata a Forcella Marmarole e la discesa per l'accidentato  Vallon degli Invalidi, si risolsero nel modo migliore. 
Di quella salita porto un vivo ricordo, e la consiglierei a tutti coloro che salgono le montagne con piedi e mani, ma anche con occhi e cervello, si guardano spesso attorno e godono delle grandi come delle piccole cose.

12 nov 2012

L'anello di Crepa



Prima che nevichi, se il tempo tiene, prendiamo l’autobus urbano, l’auto o saliamo a piedi oltre le case di Col, fino al masso - già palestra di roccia - sulla Statale 48, poco prima della galleria, nei pressi del belvedere dove d'estate tanti turisti in transito si fermano volentieri
Proprio di fronte infiliamo il sentiero, che alcuni fa il Cai ha sistemato e segnalato, internandoci subito fra le rocce  di Crepa, che incombono sulla strada. 
La traccia sale ripida in un ombroso bosco di latifoglie intercalato a salti rocciosi (un tempo ricordo che qui era steso un tratto di fune di ferro per sicurezza). Rasenta poi uno steccato, dal quale si gode un bel panorama, e porta proprio davanti all’Ossario dei caduti della Grande Guerra di Pocol, un monumento importante che tanta nostra gente neppure conosce e visita. 
12 novembre 2006
Dopo una breve sosta, sul retro del monumento prendiamo il sentiero 451, che scavalca la rocca di Crepa e scende fra la vegetazione, con qualche ausilio dato il terreno   scosceso, fino a giungere in vista della strada sterrata detta d'Inpocrépa, che sale dalle case di Lacedel fino a Pocol e fino al 1909 era l'unico accesso da Cortina al Passo Falzarego.. 
Oltrepassato un tratto sotto roccia (foto), prima di confluire nella strada, deviamo a destra e per una  traccia poco marcata tra gli alberi in breve ci riportiamo al punto di partenza. 
In un’oretta avremo portato a termine un simpatico anello escursionistico, che ha tre aspetti degni di nota: fino a qualche tempo fa, fra quelle rocce dimorava la colonia di camosci più “meridionale” d’Ampezzo; sul sentiero è improbabile incontrare folle vocianti; nel tratto in salita (che però nessuno vieta di seguire anche in senso contrario), l’atmosfera è antica, un po’ gotica. 
Il luogo è piacevole e solitario: non siamo lontani dalle case ma pare di essere tra le montagne, e intorno a quelle rocce ci si potrebbe aspettare di sentire gli spiriti di Maria de Zanin,  del soldato che la insidiava a Volpera, delle anguane di Federa, di Ester che morì ai piedi di Crepa, di Angelo "Moisar" che nel suo "landro" si isolava dal mondo e di chissà chi altri.

10 nov 2012

Il canalone del Busc de r'Ancona


Nell’agosto 1977 per la prima volta e poi in varie altre occasioni, fino al 10/11/1990 con Sandro e Max, mi capitò di percorrere in discesa il profondo invaso roccioso in cui scorre il Ru de r’Ancona.
Dall'omonimo Busc (sede dell’arcinota leggenda del diavolo, che da lassù sarebbe fuggito bucando la parete a cornate, poiché non era riuscito a convertire a suo vantaggio la valle d’Ampezzo), il canalone scende fino a lambire la Strada d’Alemagna, all’altezza del Ponte de r’Ancona. 
Si sviluppa in un angolo piuttosto selvaggio, per circa seicento metri di dislivello: con un po’ di attenzione, considerato il letto piuttosto accidentato e l’assenza di tracce, a quei tempi era tutto percorribile, a parte un breve tratto. 
Giunto, infatti, abbastanza in basso, il torrente si allargava in una piccola vasca, oltre la quale un liscio salto di una quindicina di metri, percorso da una suggestiva cascatella, impediva di continuare naturalmente.  
Photo: courtesy of panoramio.com
La soluzione del problema stava sul lato destro orografico dell'invaso. Alcune tracce nel bosco, prima in salita fino ad un cippo di particella forestale e poi in discesa, scansavano l'ostacolo permettendo di rientrare agevolmente nel solco del Ru. 
Il canalone, che ritengo percorso ben di rado in salita, anche perché in alto è molto friabile, venne sceso con gli sci intorno al 1984 da Nina Ford Bartoli, da sola. Dell'interessante scialpinistica fu data anche una breve relazione sul semestrale “Le Dolomiti Bellunesi”. 
Tra le avventure selvagge possibili a Cortina, forse era una tra le più consigliabili a gente un po' esperta e disincantata, munita comunque di ottimi polpacci e robuste calzature. 
Portarsi fino al Busc, preferibilmente per la mulattiera militare che rasenta il canalone in sinistra orografica (segnalata con qualche bollino rosso e oggi - mi dicono - quasi sepolta dai mughi), scavalcare l’alto finestrone roccioso e poi destreggiarsi tra i blocchi e le ghiaie fino alla strada: era un “sentiero selvaggio” ignorato dalle antologie, che permetteva di recuperare un frammento di "wilderness" altrove ormai scomparsa. 
Forse oggi si potrà ancora scendere, ma ne parlo al passato, perché dalla mia ultima discesa è passato più di ventennio.

7 nov 2012

Nozze d'argento con la Rocchetta di Campolongo

Oggi festeggio le nozze d'argento con una delle montagne meno note e, per fortuna, meno usurate della conca ampezzana: la Rocchetta di Campolongo (m 2371), nel gruppo della Croda da Lago.
La tabella in vetta, verso l'Antelao
(photo: courtesy Claudio, 5/9/2004)
Era infatti il 7 novembre 1987, giornata ricca di sole e di silenzi, quando giungevo per la prima volta in vetta in compagnia dall'amico Lux, che ci ha lasciato qualche anno fa.
Di quel giorno, mi rimane materialmente solo una diapositiva persa in qualche cassetto, ma il ricordo è indelebile: per la stagione che non voleva arrendersi all'inverno, per la compagnia, per la salita faticosa, compensata però dalla gioia di fare una nuova conoscenza.
Come alcune altre vette, anche la Rocchetta è un luogo del mio cuore: andando e tornando dal lavoro ce l'ho davanti tutti i giorni dell'anno, e specialmente in  ore autunnali splendide come quelle odierne il mio pensiero non può non correre volentieri fra le rocce lassù.

6 nov 2012

Strudelkopf, cima per pigri



Tutto sommato il Monte Specie - Strudelkopf (2307 m), rilievo  di interesse escursionistico nel gruppo del Picco di Vallandro, è una "cima per pigri". La croce di vetta, dedicata ai reduci di tutte le guerre, si raggiunge infatti in un’ora di comoda salita dal Rifugio Vallandro a Pratopiazza, lungo una carrareccia ex militare praticabile in MTB e purtroppo - mi si dice - d'inverno assediata anche da motoslitte. 
Oltre che per il panorama, il Monte Specie - pacifica calotta di pascolo, mughi e detriti - viene frequentato proprio per l’accesso facile e breve. C'è però anche un modo più “alpinistico” per giungere in vetta: dalla Valle di Landro lungo la Val Chiara - Helltal, per la quale s'inerpicava il sentiero militare austriaco. Questo sentiero inizia proprio a fianco del Ristorante Tre Cime a Landro: risale la ripida costa boscosa che sovrasta la strada, ma dopo un po' cambia versante e s'inoltra nella valle vera e propria. 
Superata una scala di legno, una breve galleria e una cengia esposta, resa sicura da alcune corde fisse, il sentiero prosegue con pendenza costante in destra orografica della valle sbucando su un'insellatura del crinale, dove sorge un fortino diroccato. 
In cima coi gracchi, 6/11/2010 
(photo: courtesy of idieffe)
Qui incrocia la stradina che sale da Pratopiazza, e per essa in un altro quarto d’ora si è in vetta. Per salire da Landro occorrono due ore e mezzo, un po’ faticose ma molto interessanti per le testimonianze belliche presenti lungo il percorso, nonché per l’ambiente. Il sentiero è un tratto dell’Alta Via delle Dolomiti n. 3, e viene spesso seguito in discesa. 
Ho salito il Monte Specie una mezza dozzina di volte, l'ultima due anni fa come oggi, in una domenica calda e soleggiata in cui trovammo comunque la cima già coperta di neve. Per scendere dalla Val Chiara, mi piace una variante un po' "avventurosa", il vecchio sentiero dei cacciatori. Esso devia da quello normale presso i ruderi di una teleferica e si abbassa tra gli alberi accanto ad un rio. Dove questo sprofonda in una cascata, piega a sinistra e cala fra i mughi, rientrando nel bosco e sboccando sulla Strada d’Alemagna, a un paio di km da Landro. La variante si svolge in una zona impervia ma non difficile e richiede un minimo di attenzione all'orientamento.
Ma salire e scendere dal "Vallandro", che dista   mezz'oretta di passeggiata quasi in piano dal parcheggio di Pratopiazza (occhio: da maggio di quest'anno per giungere sull'altopiano da Ponticello si paga, 8 € ad automobile), è certamente più rapido e comodo, se si ha meno tempo a disposizione, meno provviste nello zaino  o talvolta ... meno energia nelle gambe!

3 nov 2012

Popena Basso, sabato 3 novembre

In una giornata meteorologicamente "da urlo", con l'amico Carlo, oggi ingegnere a Trieste, ripetei la via aperta nell'estate 1936 da Piero Mazzorana e Mulli Adler sulla parete SE del Popena Basso, a picco sul Lago di Misurina; una salita divertente che si può fare in mezza giornata e si svolge su parete aperta, con roccia solida e difficoltà abbastanza continue ma  non superiori al 4+ (ciò che per noi era l'optimum).
Popena Basso, parete S, salendo per la via normale

Salii più di una volta la via, piacevole,  aerea e con un  bel panorama  sulle Tre Cime e sui Cadini di Misurina. La buona attrezzatura (oggi ci saranno spit,  allora c'erano chiodi e cunei di legno) e la discesa semplice e veloce, la rendevano molto appetibile per il nostro standard di difficoltà. 

La Mazzorana-Adler è la seconda via che s'incontra uscendo dai mughi lungo il sentiero che funge da via normale e parte sul retro del Grand Hotel Misurina: l'attacco si trova poco prima della rampa che sale alla forcella tra la parete S e le torri antistanti, nel diedro formato da un gran pilastro appoggiato alla parete.

Terminata la salita, con grande soddisfazione di Carlo perché per lui era la prima volta, e anche mia perché, il 2 novembre di qualche anno  prima, la Mazzorana-Adler mi aveva ricacciato alla base per una repentina nevicata, ci godemmo una birra  scaldati dal sole e sotto il cielo azzurro, sulla terrazza della pensione Quinz, in faccia al lago di Misurina. 

Era sabato 3 novembre 1984.

31 ott 2012

Punta della Croce, cima disertata ma tranquilla


La Punta della Croce, sommità mediana delle tre che formano il segmento occidentale del sottogruppo del Pomagagnon, pur essendo sicuramente stata salita in epoca precedente,  fino al penultimo decennio del XIX secolo non aveva un nome preciso. 
Il nome le venne da una croce di legno collocata in vetta dalla guida alpina Giuseppe Ghedina Tomasc, che sarebbe poi caduto in circostanze oscure dalla sommità del Nuvolau il giorno dell'inaugurazione del rifugio omonimo (11/8/1883). 
Non si sa esattamente quando e perché Ghedina abbia portato una croce su quel poco rilevante rialzo della cresta. Poco rilevante, però, qualora lo si osservi dal lato settentrionale, dove si adagia con uno schienale di rocce e detriti sparsi di zolle erbose sui  suggestivi Prati del Pomagagnon. 
Punta Fiames, Punta della Croce, Campanile Dimai
dai prati di Brite, 2/11/2003
Sul versante opposto, verso Cortina, infatti, la Punta dispiega una parete spaccata a metà da una caratteristica fessura, che – per quanto non sia tutta verticale – raggiunge la notevole altezza di 600 m. 
Pur essendo stata salita fin dal 1900, la Punta non ha mai raggiunto la rinomanza delle sue vicine, la Punta Fiames e il Campanile Dimai. Nemmeno la via più semplice per la vetta, che richiede una mezz'oretta da Forcella Pomagagnon e presenta lievi difficoltà, credo incontri eccessivi entusiasmi negli alpinisti, anche se ancora negli anni '70 l'ascensione della Punta rientrava nei programmi estivi delle guide alpine di Cortina. 
Domenica 31/10/1999, in una giornata di sole e cielo azzurro che pareva rubata all'estate, con gli amici Claudia e Alessandro giungevo di nuovo in vetta a quella montagna. 
Perché mi piaceva la Punta, e la salii alcune volte fino a quella domenica d'autunno, dopo la quale mi è sempre sfuggita un'altra occasione di tornarci? 
Soprattutto perché una volta in vetta, dove da decenni la croce è scomparsa e ad accoglierci si presenta solo un ometto di pietre, basta guardare la prospiciente Punta Fiames, popolata di ferratisti e scalatori dalla primavera all'autunno, per rendersi conto del fatto che la Punta della Croce è sì una montagna disertata, ma tranquilla.

30 ott 2012

Becco Muraglia, chi ti conosce?


In un pomeriggio foriero di pioggia (scatenatasi puntualmente poco prima di riprendere la macchina al piazzale presso l'ex Capanna Ravà), ho raggiunto per la quinta volta  una cima che ritengo abbastanza interessante: il Becco Muraglia (m 2271, nel gruppo dolomitico Nuvolau-Cinque Torri). 
Salendo verso il lago di Ciou de ra Maza ... spunta il Becco 
(photo: courtesy idieffe)
Il “Bèco de ra Marògna” per gli ampezzani, ai quali però prima della Grande Guerra il nome era ignoto, è una piramide d'importanza alpinistica marginale, che si nota bene dalla strada del Passo Giau in vicinanza dell'omonima casera, e costituisce uno dei due capisaldi della famosa Muraglia di Giau, il muro confinario fra le comunità di Ampezzo e di San Vito del quale nel 2003 sono ricorsi i duecentocinquant'anni dall'edificazione. 
Salire sul Becco non è cosa lunga né tutto sommato  difficile, anche se - data la qualità un po' scadente della roccia - ritengo questa gita adatta ad escursionisti appena un po’ smaliziati. 
Seguendo le tracce degli animali che punteggiano lo splendido bosco del Forame e s’internano fra i baranci e le rocce sovrastanti la strada del Giau, dopo aver sorpreso una famigliola di caprioli, in tre quarti d’ora dal parcheggio abbiamo guadagnato un comodo e panoramico colletto erboso, posto proprio ai piedi della parete terminale del Becco. 
Da qui alla cima manca una cinquantina di metri; la salita, valutabile di I grado, si svolge su roccia gradinata ma friabile e  ghiaiosa, un po' delicata in discesa. In vetta, tra un mucchio di blocchi che sembra frutto di qualche fulmine, dopo un quarto di secolo dalla prima visita, ho ritrovato praticamente intatta (!) la singolare croce, un palo di legno con due piccole tabelle, il cui significato non mi è chiaro. 
Il Becco Muraglia ha senz'altro un interesse escursionistico e alpinistico di dettaglio, ma può  attrarre soprattutto chi ama la nostra storia. 
La salita,  descritta con tanto di immagini nella recente guida  "111 cime attorno a Cortina" di Majoni-Caldini-Ciri, che ha regalato all'elevazione un pizzico di visibilità in più, può avere un valore per chi cerchi una meta un po' fuori dal comune, e si accosti ad un angolo dolomitico che - pur abbastanza prossimo ad una strada e facilmente accessibile - sconta ancora una solitudine rara e apprezzabile.

27 ott 2012

Nel silenzio dei Brentoni


Cresta di Val d’Inferno: un gruppo di guglie aguzze e spuntoni minori dal nome un po’ truce, che separa la Carnia dal Cadore e appartiene alla giogaia dei Brentoni-Castellati. 
Cime non sempre comode e spesso friabili, con accessi talvolta lunghi e faticosi, angoli solitari dove resta sempre qualcosa da scoprire: questo offre la cresta, un luogo genuino e romantico. Dai pinnacoli della cresta che guardano l'altopiano di Razzo, emerge il secondo Torrione (2311 m), dalle linee eleganti se non ardite, alto sui pascoli di  Camporosso e sui boschi che scendono in Val Frison. 
I Brentoni, dalla strada di Casera Doana
27 giugno 2010
Lungo lo spigolo S sale una via, ritenuta una delle più interessanti del gruppo, che anni addietro percorsi due volte. 
L'avevano tracciata nel 1938 due grandi alpinisti dolomitici,  Castiglioni e Detassis, durante la minuziosa esplorazione delle Alpi Carniche per la stesura dell’omonima guida, uscita nel 1954. 
La via, anche se non particolarmente succulenta (sono 220 m di media difficoltà, su roccia non sempre eccellente), presenta alcuni pregi che la rendono apprezzabile da chi predilige un certo alpinismo, oggi in via d’estinzione. 
Per me fu già bello salire in un fresco mattino di fine ottobre verso lo spigolo, verso Forcella Losco e Camporosso e poi seguendo il sentiero di Forcella Valgrande, che presto si lascia per un pendio di erba e ghiaia dominato dal Torrione. 
Per noi, abituati alle famose crode di casa, il panorama era insolito: Carniche, Giulie e Dolomiti si proponevano agli occhi in un avvicendarsi di piani diversi, che avrebbe colpito anche l’osservatore più distratto. 
Nessun rumore turbava quegli spazi aperti, quell'ambiente dorato; forse più in autunno, il periodo ottimale per aggirarsi sui Brentoni, su quelle crode la pace regna sovrana. 
Fu bello salire la via con calma, godendo i singoli passaggi, mai duri ma neppure banali: la rampa, le pareti sul filo dello spigolo, il diedro, la cresta finale, fino in vetta. 
Fu piacevole godersi il sole sul poco spazio disponibile, vagando col pensiero sulle crode che si offrivano alla vista, mai così nitide come in quella giornata. La conclusione della gita ci vide poi scendere soddisfatti per la  via normale, districandoci fra salti ghiaiosi e ripide cenge erbose solcate dai camosci. 
Fu infine dolce terminare la giornata andando pian piano incontro alle luci della valle e lasciare nella sera ormai vicina la solitudine dell’altopiano. 
Fu bello, e valse la visita, il secondo Torrione della Cresta di Val d’Inferno, nei Brentoni. Chi  lo sale, se può, lo salga in silenzio, sottovoce, per mantenere il fragile incanto che ancora resiste lassù. Ne sarà di certo gratificato.

23 ott 2012

Col Rosà, da solo

23 ottobre: era domenica, una bellissima domenica. Leggo nei miei appunti: "Venerdì scorso  ho superato l’esame di Diritto Amministrativo, e sono risalito subito a Cortina per celebrare l’avvenimento come piace a me, in montagna.

Col Rosà, da Val Fiorenza (foto F.P.)

Sette giorni fa, per esorcizzare il pensiero dell’esame che incombe, ho fatto la ferrata “Strobel” sulla Punta Fiames: oggi vorrei tornare in zona per salire  la “Bovero” del Col Rosà. In solitaria anche stavolta, un po' perchè ne ho bisogno, ma anche perché non mi dispiace. Zainetto e tuta, arrivo a Fiames, m’inoltro nel bosco e in breve - per la comoda, un po’ cupa mulattiera che risale la Val Fiorenza - spunto al Passo Posporcora. L’aria è quella fresca e vitrea  di un mattino d'ottobre avanzato: non fa freddo e il silenzio urla.
Supero l’erto pendio che porta alla ferrata, e alla base di questa incontro due ragazzi e una ragazza. Scambio due parole, ma ho premura, perché la cima mi aspetta.
Un lungo tratto in libera, e solo sulla nota “traversata” aggancio il moschettone: mi gusto la danza sul vuoto di quei pochi metri solidamente attrezzati, in breve sono fuori e continuo veloce fino ai mughi sotto la vetta. Attraverso le ghiaie, salgo rapidamente il camino con gli scalini metallici e quando  spunto in vetta le campane suonano mezzogiorno.
Non c’è nessuno: una leggera brezza, un pallido sole, un gracchio che forse  pregusta la colazione ed io.
Sto apprezzando a pieni polmoni la solitudine di una cima altrimenti molto frequentata: immagazzino a più non posso tutto quello che vedo  e metabolizzo la gioia di trovarmi in alto, essere di nuovo su quella vetta e godermela in armonia con me stesso e la natura.
Sulle pietre sommitali, esposte sul ciglio della parete che guarda Cortina, schiaccio anche un pisolino. Non sarebbe  bello restare quassù, e vivere da eremiti sul Col Rosà tra alberi, animali, sole e vento?
Proprio in quel momento di beatitudine, un soffio da nord mi ridesta da quella quiete: mi è venuto in mente che a casa mi sta aspettando il famigerato “Liebman”, il manuale di Procedura Civile!"



21 ott 2012

Le Anguane di Ciou de ra Maza


“Lago della testa del bastone”: in italiano un toponimo siffatto suona quantomeno bizzarro e non so se abbia altre occorrenze.
In ampezzano, “Lago de Ciou de ra Maza” trova invece un  riferimento puntuale, anche se di significato non proprio immediato.
Il lago è un minuscolo specchio d'acqua a q. 1891 m, nascosto nei boschi ai piedi dei Crepe del Formin; da esso prende origine il torrente Costeana, affluente del Boite.
La maggior parte della zona identificata con il toponimo “Ciou de ra Maza” appartiene alle Regole di San Vito di Cadore, ed è solcata da una pista forestale, che la raggiunge dal basso, partendo poco sopra Pezié de Parù, e va a concludersi sul limite territoriale fra Cortina e San Vito, segnato dalla Marogna de Giou.
Se il "nostro" nome di questo luogo di confine non pare chiaro, forse quello sanvitese è un po' più evidente: secondo l'atlante toponomastico del territorio di San Vito, i vicini chiamano la zona “Laghete de Iou de la Maza”, con riferimento quindi al letto asciutto di un qualche torrente.
La zona è isolata e silente: al lago, dominato dalle arcane ultime propaggini della costiera dei Lastoi del Formin, passano di sicuro più cervi che cristiani, la zona è selvaggia ed oggi, splendida domenica d'autunno in cui la neve imbiancava già le pendici delle montagne, sulle rive del piccolo specchio d'acqua per un attimo ci è parso di udire ancora il fruscio delle Anguane che lavavano il bucato.

15 ott 2012

Croda de r'Ancona, bella cima

Obiettivi proficui, a Cortina, per chi vorrebbe conoscere la montagna  e non collezionare solo quote  e gradi? Ce ne sono, eccome se ce ne sono!
Ne suggerisco uno, che risulterà certamente soddisfacente: la Croda de r’Ancona (2367 m), che incombe isolata sulla Strada d’Alemagna con un castello roccioso sostenuto da un intrigante zoccolo di rocce, mughi e boschi.
Sul lato opposto, ossia verso i pascoli di Lerosa, la Croda si mostra ancora rocciosa, ma più mansueta: il suo "tallone d’Achille" risiede nella cresta O, che scende verso Son Pouses e Ra Stua, inarcandosi a metà con un dosso dove sorge un antico segnale trigonometrico, detto Croda dei Ciadis.
Croda dei Ciadis e Croda de r'Ancona 
da Fiames, 14/10/2011 (foto idf)
Non so quante volte ho  salito la Croda: facevo le medie, quando mi ci portò per la prima volta mio padre, grande appassionato della zona, che allora come oggi (e spero ancora per molto) è estranea alle Dolomiti impacchettate da funi, scalini e scalette e pubblicizzate ai quattro venti.
Sulla Croda si va a piedi, non ci sono scalate da fare, né ferrate: o meglio, una breve ferratina artigianale, mai ufficialmente collaudata, c'è. E’ comunque solo una lunga fune rugginosa, che aiuta a scendere dalla cima al leggendario Busc de r’Ancona, sulla cresta di Ra Ciadenes, dal quale si può poi rientrare a Lerosa per labili tracce di guerra.
Il 22/8/2002 portammo sulla Croda il primo libro di vetta, sostituito con uno più solido giusto sei anni fa, il 15/10/2006. In una delle tante salite,  nell'autunno 2004, ricordo che - per la prima volta - la nebbia ci fece quasi smarrire la traccia sui Ciadis, una zona traforata da residuati bellici, quel giorno avvolta e livellata da nebbie inquietanti. 
Magari oggi questo non succederebbe, dopo che un ignoto "artista" ha decorato la via normale, in salita e in discesa, con una lunga teoria di bollini rossi, dei quali, in verità,  non si sentiva proprio gran bisogno.
Nei limiti del possibile, non mancheremo di tornare ancora su quella cima, soprattutto per mostrare a chi non la conosce un bell'angolo dolomitico, umile e meno reclamizzato ma non per questo trascurabile.

10 ott 2012

13 anni fa, sulla Cima NE di Marcoira

Una montagna dove siamo saliti spesso, per affetto ma anche per comodità, è la Cima NE di Malquoira, o di Marcoira,  posta  lungo la diramazione ampezzana del Sorapis.
Mentre a N, verso il Passo Tre Croci, la cima scende con alte pareti salite da nomi illustri per vie misconosciute, a S scivola con pale erbose assai erte ma abbordabili verso il Ciadin del Lòudo, una valletta oggi purtroppo parzialmente imbiancata dalle ghiaie, dove ai tempi dei pionieri pascolavano le pecore: un angolo romito, un gioiello solitario.
Da questa parte, la "Marcoira" si sale in breve tempo seguendo una traccia poco marcata e non segnalata, che prende avvio a Forcella Marcoira, lo stretto intaglio raggiungibile dal Passo Tre Croci per un accidentato canale detritico.
La prima volta giunsi in cima per caso, il giorno della Sagra d’Ampezzo di tot anni fa. Transitavo per il Ciadin da solo e di quella montagna sapevo solo quel poco che riportava il “Berti”. In vetta, mi stupii di trovare un ometto e due rami a mo' di croce, e cercai altro: ma nulla.
Qualche tempo dopo un conoscente, con il quale avevo fatto un paio di salite, mi disse di essere giunto più volte su quella sommità seguendo una via di Castiglioni. Cavolo, ma era proprio quella che nell'80 con mio fratello avevamo cercato, senza capire neppure l’attacco, quasi annegando nei mughi dello zoccolo!
Tornai su a metà degli anni ‘90, e tredici anni orsono, il 10/10/1999 - giorno in cui gli Alpini scorrazzavano per ogni cima dolomitica, lanciando razzi tricolori per ricordare la fine del millennio – eravamo di nuovo su.
Lasciai sotto l'ometto un barattolo con uno striminzito calepino, subito sostituito da un amico di manica più larga: da allora, grazie anche ad alcuni miei articoli, ogni estate si affacciò sulla Cima qualcuno in più.
L’ultima volta, per ora, sono tornato sulla "Marcoira" nel luglio 2005, notando che in meno di un mese erano arrivati in vetta ben 15 appassionati: alla fine, siamo sempre quelli, che sfuggono alle "autostrade dolomitiche" per rifugiarsi su crode solo in apparenza minori, dove non occorre farsi largo fra la folla vociante, la vernice, le cartacce.
Dove la solitudine alpina non è una frase fatta.

Il cinema fra le Dolomiti del Cadore e di Cortina


L'amico Emanuele D'Andrea, nativo di Pelos di Cadore, già Presidente della Magnifica Comunità di Cadore e cultore di storia patria, ha compilato la maggior parte dei “Quaderni Storici” che la Tipografia Tiziano di Pieve produce per documentare gli aspetti storico-culturali del Cadore. 
Nel suo ultimo lavoro Breve storia del cinema fra le Dolomiti del Cadore e di Cortina d'Ampezzo, settimo titolo della collana, D'Andrea sviluppa un suo pallino: il cinema legato, per ambientazione o perché prodotto da locali, al Cadore e a Cortina, al quale hanno già lavorato noti antesignani sia cadorini che ampezzani, come Bortolo De Vido, Giuseppe Ghedina, Gianni Mario, Aldo Molinari, Fiorello Zangrando.
Nel Quaderno l'autore ha sviscerato la storia del cinema sulle Dolomiti del Cadore e di Cortina iniziando oltre un secolo fa, nel 1907, quando il regista londinese Frank Ormiston-Smith venne a girare con una “Lumiere” a manovella “The tree tops of Lavaredo in the Dolomite Mountains”, prototipo del cinema di montagna. Nel film si prestarono come attori Mansueto Barbaria, Angelo Dibona e Baldassare Verzi, note guide alpine ampezzane, ma di esso si è salvata solo una fotografia, nella quale i personaggi posano con la macchina da presa sullo sfondo delle Tre Cime. 
La storia, per ora, termina con i registi Carlo ed Enrico Vanzina, che a Cortina hanno dedicato numerosi film e sceneggiati, non sempre di buon gusto ma comunque efficaci per reclamizzare la valle d'Ampezzo e le sue crode. Il volume contiene poi l'elenco di associazioni e personaggi cadorini, autori e registi, che si sono interessati e s'interessano di cinema; nella terza parte D'Andrea illustra un progetto importante: una cineteca cadorina, in cui  conservare tutti i materiali audio, cartacei e video che riguardino il Cadore e i cadorini. 
Seguono un'ampia bibliografia e gli indici di nomi, titoli e illustrazioni. Queste ultime, molte delle quali sono inedite, testimoniano la nascita e lo sviluppo di una forma culturale che interessa il Cadore, Cortina e le nostre montagne ormai da più di 100 anni. Mi fa piacere che, fra i personaggi da evidenziare in questo ambito, D'Andrea abbia dato il doveroso spazio, compresa la copertina (l'immagine, “Cine sulle cime”, fu scattata alla fine degli anni '40 sulla Grande di Lavaredo), ad un uomo che ho avuto la fortuna di conoscere e apprezzare: Severino Casara, forse il più illustre pioniere del cinema dolomitico, che amò le Dolomiti Ampezzane e Cadorine salendole, descrivendole in libri di successo e divulgandole nelle sue numerose pellicole.

Emanuele D'Andrea, “Breve storia del cinema fra le Dolomiti del Cadore e di Cortina d'Ampezzo”, 87 pp. con numerose immagini, Tipografia Tiziano – Pieve di Cadore 2012.

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...